Impossibile trovare un accordo tra i 27 stati membri sul bilancio 2014-2020. Quello che preoccupa maggiormente è la totale assenza di coesione e di spirito “comunitario”. L’Unione, evidentemente, non fa la forza.
IL BILANCIO – Meglio dormirci su, e riprendere i lavori a mente fredda. E’ questo il risultato di 14 ore di incontri bilaterali sul piano economico pluriennale UE 2014-2020. Herman Van Rompuy ha fallito ogni tentativo di mediazione, cambiando le destinazioni dei tagli previsti e senza lasciar soddisfatto nessuno. Si sente dire che la nuova bozza differisca dalla precedente per un sostanziale aumento dei finanziamenti. Sbagliato. La realtà, appunro, è che sono soltanto state scambiate le destinazione dei tagli ai finanziamenti, creando per l’ennesima volta un effetto illusorio.
Rispetto alla prima bozza risalente a 10 giorni fa, quella di ieri restituisce di fatto 11 miliardi di euro per le politiche di coesione (fondi per le Regioni in ritardo di sviluppo e fondo sociale) e di 7,7 miliardi i fondi per la politica agricola comune (Pac). Per Italia e Francia è già un buon inizio, anche se resta da vedere quale sarebbe l’effetto sul saldo netto nazionale.
I NUMERI - Ma veniamo ai tagli. Il tetto di spesa complessivo per il bilancio pluriennale resterebbe comunque fissato a 973 miliardi di euro, l’ 1,01% del prodotto nazionale lordo dell’Ue, come nella bozza iniziale. Allora i finanziamenti restituiti alle politiche agricole e di coesione da dove vengono?
- Ben 13 miliardi da aggiungere aggiungere agli 11,6 proposti nella prima bozzasottratti al capitolo “competitività”. Stiamo parlando dei programmi di ricerca e sviluppo, del progetto Galileo e della “Connecting European Facility”, un piano di investimenti per trasporti, telecomunicazioni ed energia.
- Ulteriore riduzione di 5,5 miliardi (oltre ai 6 già preventivati nella principale bozza) di finanziamenti per l’azione esterna dell’Ue.
- Taglio di 1,6 miliardi (oltre ai 500 milioni della solita prima bozza), per le iniziative riguardanti giustizia e sicurezza.
Nessuno si stupirà se nel piano presentato ieri sera, non vengono neppure prese in considerazione le spese amministrative delle istituzioni comunitarie e gli stipendi dei funzionari (i quali tuttavia dovranno sobbarcarsi ben 2,5 ore in più alla settimana di lavoro).
SFORBICIATE INSENSATE – La lungimiranza è una virtù che sembra mancare del tutto ai nostri rappresentanti (eletti o meno, non fa differenza). Tagliare proprio gli investimenti necessari a rilanciare la “crescita” e la competitività è senz’altro frutto di una politica d’austerity ancora troppo radicata nell’ambiente comunitario. Certo, è più facile tagliare quelle azioni, che ovviamente avrebbero segnato un aumento della spesa, piuttosto che privare i Paesi più influenti di obiettivi già da tempo raggiunti (vedi Pac). Quel che resta è una linea di stampo Merkeliano, orientato al risparmio forzato, che minerà la possibilità di ripresa almeno nel breve-medio periodo, come già abbiamo riscontrato dalle politiche comunitarie messe in campo negli utlimi anni.
E’ in quest’ottica che vanno inquadrate le reazioni di Monti e Hollande. I due non si sono opposti a questa austera linea politica, ma hanno soltanto provato in ogni modo a tutelare i propri interessi, in particolar modo il settore agricolo. Giusto e normale. Se non fosse così, dovremmo preoccuparci dei nostri rappresentanti.
L’UNIONE CHE NON C’E’ – Minacce di veto, trattative interrotte, incontri bilaterali fallimentari. Questa è l’immagine che l’Europa da di se stessa. «Avanzeremo un po’, ma non si troverà l’intesa», sono le parole di Angela Merkel a riempire il vuoto lasciato da un meeting desolante. Mario Monti non nega che «se ci ritenessimo significativamente insoddisfatti, non esiteremmo a votare contro».
Insomma, lo scacchiere è di difficile interpretazione. A palesarsi è il fatto che in una situazione diprofonda instabilità, dove gli equilibri precostituiti sono completamente saltati (vd. rapporti Francia-Germania), ciascuno mira con azioni di forza a far pesare il proprio voto per evidenziare una solidità contrattuale che si spera torni utile alla fine di questo critico periodo. Poi, a dirla tutta, di critico qui c’è ben altro, in primis la parola “Unione”. Appurato che è stato un errore dar vita ad un’unione monetaria prima che politica, è evidente come oggi interesse diffuso sia prevalere sugli altri piuttosto che cooperare. Gli stessi Monti, Hollande e Merkel ce la stanno mettendo tutta per far pendere l’asticella del rigore dalla loro parte.
A rimetterci, come sempre accede, sono i cittadini, privati di qualsivoglia forma di investimento e illusi da una prospettiva di crescita che in realtà non ci sarà. Non è detto che rimandare il tutto agli appuntamenti europei di Febbraio, quando in Italia saremo a ridosso delle elezioni politiche, sia poi un male, nella speranza che si entri più nel vivo del dibattito sui settori nei quali investire in termini di politica economica .
di Andrea Salati - http://dailystorm.it