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Ue, la Danimarca fa un passo indietro

Creato il 06 dicembre 2015 da Albertocapece

bandiere-danimarca-europa-aIn occasione del referendum scozzese e delle elezioni catalane mi sono permesso il piacere dell’eresia e ho sostenuto che dopo il fallimento o meglio la mutazione reazionaria del progetto europeo, i temi indipendentisti e separatisti sono usciti dal loro guscio tradizional conservatore e si sono posti come via d’uscita dall’abolizione progressiva della democrazia sacrificata a poteri finanziari e non elettivi. Tanto che la spina dorsale delle secessioni vede la sinistra radicale in prima linea.

Bene è successo ancora, anche se l’informazione mainstream si è ben guardata dal darne anche la minima notizia, ma in un contesto assai diverso il che dimostra che si tratta di una dinamica politica che non si coagula solo in casi particolari ed eccezionali: in Danimarca un referendum ha sonoramente bocciato la domanda su una maggiore integrazione all’Europa, visto che Copenhagen fruisce di alcune deroghe in materia di sicurezza (partecipazione all’Europol), politica monetaria e giustizia interna, ottenute anch’esse grazie a consultazioni popolari. Fin qui nulla di strano, solo che in questo caso mentre i liberisti al governo e gli “oppositori” socialdemocratici hanno fatto campagna per il sì, ovvero per eliminare le deroghe, il fronte del no che l’ha spuntata con il 53% (con una partecipazione al voto del 72%) è stato guidato dalla sinistra radicale assieme ai cosiddetti populisti del Partito popolare danese.

Si tratta di alleanze innaturali o comunque altrettanto innaturali della estinzione di differenze fra destra e socialdemocrazia in atto il tutto il continente, ma non inedite essendo alla fine le stesse che si verificarono in Francia nel 2005 nel referendum che vide bocciata la Costituzione europea (vedi nota) , ma proprio proprio questo testimonia del fatto che a mali estremi, estremi rimedi. E del resto la Danimarca è un esempio di scuola dello stato caotico e subalterno della democrazia sotto la Ue: i liberali europeisti, sono riusciti a salire al governo, nonostante i socialdemocratici avessero raccolto molti più voti, grazie all’appoggio del partito euroscettico che tre giorni fa è stato uno dei fautori della vittoria del no ai referendum lanciato dallo stesso governo. Ma naturalmente i socialdemocratici, paralizzati  dall’europeismo a tutti i costi, non hanno fatto nulla per costruire un’alleanza con verdi e sinistre radicali che sarebbe stata vincente.

In questa situazione il leader Rasmussen, se riuscirà a superare il momentaccio  ha già intavolato una discussione a Bruxelles per vedere come si possa aggirare il risultato del referendum, dimostrando che niente come la governance europea sia ostile alla democrazia e alla manifestazione della volontà popolare.  Esattamente come accadde al tempo del referendum che bocciò l’euro, ma che le elites locali trovarono il modo di superare agganciando la corona alla moneta unica, sia pure con un’oscillazione di cambio del 2,25%. Però è chiaro che qualcosa si è rotto nel meccanismo e che sul referendum abbia giocato anche il ruolo incredibilmente ancillare che la Ue dimostra nei confronti della Nato, ulteriore ragione per il silenzio dei media. La Danimarca è stata scagliata in prima linea nella nuova guerra fredda con Mosca, ruolo che i danesi fanno fatica a comprendere e ad apprezzare soprattutto per il timore di perdere terreno sulla questione della piattaforma artica: non ci vuole molto a capire che la difesa garantita dall’alleanza atlantica finisca per far fare agli Usa la parte del leone nelle questioni energetiche e territoriali che riguardano il Paese lasciandogli molto meno di quello che otterrebbe discutendo con la Russia.

Il no dei cittadini danesi è dunque multi dimensionale, se mi si passa l’espressione e dice no a ulteriori cessioni di sovranità verso poteri non elettivi, spesso gestiti addirittura oltre oceano. E questo non è la fine delle soggettività politiche, ma proprio il loro punto di inizio.

Nota  A proposito della Ue e della sua inesistenza democratica va notato che la sua cosiddetta costituzione è stata respinta  da francesi e olandesi tramite referendum, che le consultazioni popolari in merito sono state sospese in Portogallo, Irlanda, Gran Bretagna, Danimarca e Polonia, mentre in Svezia e repubblica Ceca rimangono sospese le procedure parlamentari di approvazione. In Germania, Italia, Austria, Belgio, Ungheria, Grecia, Repubbliche baltiche e Finlandia la costituzione è stata approvato senza ricorso a consultazioni popolari, per evitare probabili bocciature. Solo Spagna e Lussemburgo hanno detto sì tramite referendum.


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