di Stefania Mattana
É il momento più patinato, ieratico e spumeggiante delle grandi manifestazioni sportive mondiali. Stiamo parlando della cerimonia di apertura, quella che anche i non appassionati di sport riescono a seguire senza cambiare repentinamente canale. Quella che desta sicuramente più curiosità, vero e proprio biglietto da visita dell’intero carrozzone organizzativo e dell’entusiasmo e calore del Paese ospitante. Quella che, per forza di cose, durante qualsiasi appuntamento olimpico, mondiale o continentale deve essere necessariamente migliore dell’edizione precedente.
Gli sportivi più veraci, come la scrivente, potrebbero storcere il naso, come la scrivente, davanti agli eccessi, il funambolismo e l’epica drammaturgia che caratterizza le cerimonie di apertura e chiusura degli eventi. Ma dietro tutta questa megalomania – passatemi il termine – c’è molto di più. C’è un plotone di professionisti, creativi di ogni universo artistico, artigiani, uomini e donne depositarie di verità e cultura: scenografi, musicisti, sceneggiatori, danzatori, falegnami, sarti, tecnici audio e luci, addetti di vario genere, storici, esperti, et cetera. E poi ci sono i volontari, i giovani, i bambini.
La board della RWC ha dato tutto questo in mano a un piccolo team di creativi, la David Atkins Enterprises, capitanata dall’omonimo fondatore. Mr. Atkins monitora e coordina tutta la preparazione delle cerimonie, lavorando attivamente anche sul campo in veste di creativo. Il suo curriculum vanta l’organizzazione della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Sydney, dei giochi asiatici di Doha e dell’apertura e chiusura delle olimpiadi invernali di Vancouver. I suoi assistenti e collaboratori provengono da ogni parte del mondo, ma la parte da leoni la giocano gli autoctoni, in questo caso i neozelandesi. Appena terminata l’avventura di Vancouver, la Atkins Ent. si è concentrata sull’evento neozelandese, e già da aprile scorso fervono prove e perfezionamenti dei meccanismi di scena.
Le anticipazioni su cosa vedremo il 9 settembre sono poche e confuse: si sa solo che i 25 minuti di cerimonia saranno quasi completamente tutti coreografati, e gli spettacolari giochi pirotecnici finali terranno gli spettatori con il naso all’insù per circa 12 minuti. Dalla sua parte, la Nuova Zelanda ha un corpus di tradizioni etnografiche di gran rilievo e fascino, grazie alla cultura maori e allo stesso rugby, sul quale in parte di basa il fondamento dell’identità nazionale.
Qualche numero sulla cerimonia di apertura:
40 mila braccialetti luminosi per il pubblico, 2 mila metri di nastri di sicurezza (per delimitare le zone non accessibili al pubblico), 5 mila ponchi (le mantelle alla messicana, per intenderci) e 40 litri di crema solare per l’intero staff. E ancora: 8000 foglie di lino, 9,5 km di seta, 19 nazionalità rappresentate tra i partecipanti attivi della cerimonia, assieme alla Filarmonica di Auckland, bande di cornamuse, majorette, artisti del fuoco, percussionisti, danzatori di haka, drag queens, dragoni cinesi e molto altro.
La rincorsa infinita alla perfezione artistica è iniziata, per strappare allo spettatore una nuova, più grande, emozione indimenticabile.