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Zante apparteneva alla Repubblica di Venezia ed egli si considerò veneziano; il clima spirituale della Grecia, di cui dalla madre aveva appreso il linguaggio, rimase sempre intimamente legato al suo spirito, quasi in una romantica nostalgia di pure bellezze classiche.
Aveva sette anni quado il padre, Andrea, trasferì la famiglia a Spalato, sempre in dominio venziano; tre anni dopo, nel 1788, Andrea Foscolo moriva. Il piccolo Niccolò, con la sorella Rubina e i fratelli Giovanni e Giulio, fu rimandato nelle isole Ionie, presso la nonna e le zie, mentre la madre si recava a Venezia per sistemare i propri interessi. Infine, nel 1793, i fratelli Foscolo raggiungevano la madre a Venezia, dove li attendeva una vita modesta ma non minacciata dal bisogno.
A quindici anni, Ugo era già colto: conosceva quasi perfettamente il greco classico e il latino e approfondiva sempre più i proprio studi. Aveva un carattere ardente, impetuoso fin quasi alla violenza, tormentato da crisi di corrucciata malinconia. Amava appassionatamente lo studio fino a imporsi minuziose e faticose ricerche erudite, ma con eguale passione tendeva poi ad abbandonarsi agli allettamenti della vita, primi fra tutti gli amori, che lo attrassero ancor giovinetto. In quegli anni veneziani la sua personalità si formò quasi compiutamente.
Dall'antica Grecia e dai suoi eroi trasse una concezione morale fondata sulla dignità dell'uomo libero tutto teso a forti ideali, animato da grandi passioni. Le Vite di Plutarco erano il suo libro preferito, come lo erano, del resto, per quasi tutta la gioventù colta dell'epoca. Non sopportava tutto ciò che era meschino, comune, volgare: quindi nemmeno la povertà, in cui era costretto a vivere, e gli abiti modesti, che doveva indossare. Non riuscì mai a superare il desiderio di essere ricco anche se seppe più volte sopportare dignitosamente la povertà.
Nessuna meraviglia, dunque se Ugo accolse con entusiasmo le idee della rivoluzione francese. Nel gennaio del 1797, a dicannove anni, faceva rappresentare una tragedia di stile alfieriano, Tieste, tutta volta contro le tirranidi, che otteneve un clamoroso successo. Napoleone era già sceso in Italia iniziando la sua cosiddetta opera di liberazione: sorgeva la Repubblica Cispadana. Ed ecco il Foscolo pronto ad esaltarlo con la sua appassionata ode A Bonaparte liberatore.
Nell'ottobre dello stesso 1797 il "liberatore" cede Venezia all'Austria col trattato di Campoformio; è un duro colpo per Ugo, che vede la sua patria asservita, ma egli crede ancora nei valori della rivoluzione e abbandona Venezia, dove rimangono sua madre e i suoi fratelli, per tasferirsi a Milano, la capitale della nuova Repubblica Cisalpina.
Comincia così un nuovo periodo della sua turbinosa vita. Il Foscolo si dà alla politica e quindi passa nell'esercito. Mentre Napoleone è in Egitto e le milizie austriache e russe vanno riassoggettando l'Italia, egli combatte come ufficiale delle truppe cisalpine ed è ferito all'assedio di Genova. Tornato Napoleone, il Foscolo rimane nell'esercito e per due anni, dal 1804 al 1806, è in Francia, con la divisione italiana fra le truppe che Napoleone raccoglie nel nord per la spedizione, non mai avvenuta, contro l'Inghilterra. Poi, venuto meno il progetto, torna in Italia, sempre nell'esercito.
Non è un periodo eroico, ma sono tuttavia anni di vita intensa. Quel focoso letterato non ha tempra di un buon ufficiale e, in definitiva, viene addetto ai servizi sedentari che gli lasciano piena libertà di dedicarsi alle lettere. Il suo carattere impetuoso dà scarso affidamento. Una volta ha l'incarico di difendere, in un tribunale militare, un soldato colpevole di omicidio; il Foscolo perora per lui con il suo solito ardore finchè non ha l'infelice idea di domandare all'accusato se prova rimorso per il suo delitto. Questi risponde brutalmente di no, ed ecco quello strano difensore tuonare fuori di sè: "Fucilatelo! Fucilatelo!".
In fondo, della vita militare, lo attrae solo l'esteriore avventurosità: il fascino dell'uniforme, il giuoco, sorta di guerra pacifica che attraeva tutti gli ufficiali di quell'epoca, gli amori, altra guerra pacifica in cui egli si impegna, al solito, con tutta la pssionalità del suo carattere. L'unico a cui Ugo rimarrà legato sarà quello per Quirina Mocenni Magiotti.
Certo la milizia non lo impegna: tutta la sua principale produzione letteraria è di questi anni. A Genova, nel 1800, scrive l'ode famosa a Luigia Pallavicini caduta da cavallo; fra il 1798 e il 1802 porta a termine le Ultime lettere di Jacopo Ortis; del 1802 è l'ode All'amica risanata; del 1807 il carme Dei sepolcri, tralasciando numerose opere di critica letteraria. Adesso il Foscolo è celebre, ma il suo carattere battagliero e irruente gli ha procurato numerosi nemici: in prima linea Vincenzo Monti, il più affermato poeta dell'epoca, sostanzialmente mediocre, ma di una mediocrità di prim'ordine. Nel 1809 viene nominato professore di eloquenza all'università di Pavia, ma un anno dopo la cattedra viene soppressa. Nel 1811 la sua tragedia Aiace viene proibita perchè appare offensiva alla maestà di Napoleone imperatore.
Il Foscolo, amareggiato, vaga adesso per l'Italia finchè, nel 1812, si ferma a Firenze. E' un anno felice da cui nascono, fra l'altro, la tragedia romantica Ricciarda e i purissimi frammenti del poemetto non mai compiuto Le Grazie. Ma gli eventi precipitano, la campagna di Russia segna la caduta di Napoleone. Nel 1813 il Foscolo è ancora a Milano e riprende il servizio militare sperando di collaborare alla salvezza del regno italico; ma invano. Gli austriaci, nuovi padroni, gli fanno grandi promesse: gli lasciano il grado nell'esercito, gli offrono possibilità letterarie; Ugo esita prima di prendere una decisione. Ma, nel marzo del 1815, un giorno prima di prestare giuramento al pari degli altri ufficiali dell'esercito italiano ormai soppresso, fugge da Milano e ripara in Svizzera. Da questo momento è un esule.
Rimane in Svizzera per circa un anno, quasi in miseria, lo soccorrono alcuni amici, fra cui Silvio Pellico, e la "donna gentile", ossia Quirina Mocenni Magiotti. Nel 1816 passa in Inghilterra, e qui nuove possibilità sembrano offrirglisi: Ugo è l'uomo del momento, l'alta società lo accoglie, gli editori compensano lautamente i suoi scritti. egli ritrova una figlia naturale, Floriana, avuta nel 1805 da una ricca inglese, e pensa di ritirarsi con lei in una villa che si fa costruire. Invece avviene improvviso il tracollo: l'ondata di fortuna è passata, i creditori non danno tregua, la villa viene venduta, padre e figlia sono in miseria. Ugo raccoglie le sue ultime forze per resistere dando lezioni, facendo traduzioni, ma ormai è logorato, e muore a soli quarantanove anni il 10 settembre del 1827.
Il temperamento appassionato e impulsivo, le sue crisi di malinconia, la sua avidità di forti sentimenti facevano del Foscolo un romantico. La sua cultura, il suo gusto, la sua continua nostalgia di bellezza ellenica lo portavano al classicismo. E' stato detto che fu un romantico in forme classiche, e la definizione è sostanzialmente esatta.
Egli espresse il tormento interiore del romanticismo, le sue incertezze, il suo dramma, nel clima di raffinata perfezione proprio degli scrittori greci e latini. Ma, come tutte le valutazioni dei valori umani, rimane approssimativa. Con le Ultime lettere di Jacopo Ortis, la storia di un giovane che muore suicida per un infelice amore e per il fallimento dei suoi sogni patriottici, egli diede all'Italia il primo romanzo, ossia la prima espressione di letteratura romantica, e, in egual tempo, la prima affermazione di una moderna prosa italiana, spesso esaltata e perfino retorica ma, talora di un'intensità che non fu in seguito superata nemmeno dai nostri maggiori.
Con il carme Dei Sepolcri, in cui il ricordo delle glorie passate e dei grandi estinti viene celebrato come incitamento e nutrimento della vita attuale, il Foscolo, in un clima di limpida grandezza omerica, esprime con perfetta misura l'appassionata rievocazione dei romantici. Nei frammenti del poemetto Le Grazie crea quadri di pura bellezza ellenistica, forse la più felice espressione letteraria dello spirito neoclassico che dominava l'epoca.
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