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Ugo Spirito. La critica della economia liberale (1930)

Creato il 18 dicembre 2013 da Silcap
Ugo Spirito (Arezzo, 9 settembre 1896 – Roma, 28 aprile 1979)

Ugo Spirito (Arezzo, 9 settembre 1896 – Roma, 28 aprile 1979)

Secondo Spirito, nella società anonima, l’attuale società per azioni, il ruolo e la figura dei vari elementi della società si modificano considerevolmente. Il capitale, che sostanzialmente è nelle mani dell’unico proprietario o dell’azionista di maggioranza, si ingigantisce e si frantuma in una miriade di quote azionarie, negoziabili anche in Borsa, in mano a persone del tutto avulse dalla vita societaria, che acquistano azioni per investimento o come forma di risparmio. Della società esse conoscono solo i bilanci e le relazioni annuali: la loro attività si esaurisce solo nel percepire gli eventuali utili e rispondono per gli eventuali debiti della società entro i limiti della propria quota di capitale sociale conferito. In sostanza non amministrano la loro proprietà: il capitalista si allontana dal capitale.

La forza-lavoro, gli operai, non azionisti e quindi non comproprietari della azienda presso la quale lavorano, tendono anche a porsi in contrasto con gli amministratori. Ciò in quanto la figura dell’amministratore è cambiata: ora è al margine tra capitale e lavoro. Infatti, se in altre dimensioni la persona dell’amministratore coincide con quella del proprietario-imprenditore, ora essa acquista un suo posto, che non è quello né del capitale né del lavoro. E da persone «i cui interessi immediatamente coincidevano con quelli della società, finiscono anche loro per differenziarsene acquistando la forma mentis propria di chi amministra cosa non propria»: si servono, anzi sfruttano sia la forza-lavoro che il capitale per il proprio fine individuale.

E tanto più l’azienda ha dimensioni rilevanti – pensiamo agli istituti di credito – tali da interessare e coinvolgere una maggiore collettività, maggiormente, a parere di Spirito, cresceva e si inaspriva il conflitto tra privato e pubblico, proprio perché lo Stato, per difendere gli interessi della collettività, è sempre più spesso costretto ad intervenire. E l’intervento si concretizza nazionalizzando le perdite e i disavanzi delle imprese private, la cui miriade di proprietari azionisti è solo indirettamente responsabile della cattiva amministrazione che ha causato il tracollo.

La critica della economia liberale (PDF)

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