“Allora tutta la terra aveva un linguaggio e usava le stesse parole. Ora, avvenne che, emogrando dall’Oriente, trovarono una pianura nella regione del Sennar e vi abitarono…e dissero: orsù, edifichiamoci una città e una torre con la cima che guarda verso il cielo”…
Si parte dal testo biblico della Genesi, per raccontare la storia del re Nabucodonosor II, della conquista di Gerusalemme e della deportazione degli ebrei. La prima dispora che li vede approdare nella più grande metropoli dell’antichità. Per sessantanni fu impedito loro di tornare in Patria, vicenda che ispirò il “Va pensiero” nel Nabucco di Giuseppe Verdi. Gli ebrei erano un popolo
Era immensa, secondo i criteri antichi, città cosmopolita al punto da suscitare ammirazione e sgomento. Si estendeva su 2,6 km quadrati ed era divisa in due dal fiume Eufrate.
Sua meraviglia principale, secondo Erodoto, erano le mura, larghe abbastanza per consentire il passaggio a due carri trainati da quattro cavalli. Su ciascun lato della strada vi era un muro ricoperto con ceramiche azzurre e adorno di 60 rilievi di leoni – emblema della dea Ishtar.
La Via delle Processioni passava attraverso la Porta di Ishtar e raggiungeva il tempio ricostruito da Nabucodònosor e dedicato a Marduk, il dio più importante della città, contenente all’interno una vasta sala interamente rivestita d’oro.
Al di là del tempio si innalzava la colossale ziggurat, rifatta dal re con otto o nove piani – per un’altezza di un centinaio di metri. Una tripla fuga di gradini conduceva al secondo piano, mentre agli altri si accedeva mediante rampe. Di questa gigantesca ziggurat, chiamata dai Babilonesi “Etemenanki”, la Casa delle Fondamenta del Cielo e della Terra, ma denominata Torre di Babele dagli ebrei fatti prigionieri da Nabucodònosor, resta oggi solo qualche rovina.
Dopo la morte di Nabucodònosor la potenza di Babilonia venne rapidamente meno. Poco alla volta i palazzi si deterioravano e crollavano. All’epoca in cui Alessandro Magno concepì il progetto di fare di Babilonia la sua capitale, la gigantesca ziggurat non poté più essere ricostruita, nonostante la volontà del sovrano che fu colto da morte prematura.
Nabucodònosor adornò i Giardini con alberi e piante di ogni specie possibile e immaginabile, portati fino a Babilonia da tutte le parti del mondo a bordo di carri trainati da buoi oppure da chiatte. Nei giardini crescevano fichi, mandorli, noci, melograni e ninfee. La prosperità dei giardini doveva sicuramente dipendere da un’efficiente sistema d’irrigazione, ottenuto sfruttando l’acqua dell’Eufrate. Questa veniva sollevata fino all’ultima terrazza per mezzo di una catena di secchi applicata alla grande ruota a gradini di un mulino azionato da schiavi. Da lì l’acqua, scendendo, formava ruscelli e cascatelle che correvano lungo i giardini, mantenendo il suolo umido.
Costruiti su terrazze i giardini furono presumibilmente edificati da Nabucodònosor per compiacere la consorte, ricordandole le montagne della sua terra natale. Giardini privati ad uso esclusivo del re e della corte. Una città costruita per riflettere la sua maestà, potente e grande. Il conquistatore e costruttore che scavò un canale e deviò le acque dell’Eufrate per rendere irraggiungibile ai nemici la città dalla sette porte.
Fino alla sua fine nefasta, ad opera dei persiani di Ciro, che segnarono l’epilogo del regno babilonese e la liberazione degli ebrei dalla schiavitù. Così finiva la città e la sua mitica torre, ma il suo mito è arrivato fino a noi.