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Ulisse: introibo ad altare Dei

Creato il 05 novembre 2013 da Ilcirro

16 giugno 1904. Dalle 8 alle 2 di notte.

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In una Dublino – universo, il pubblicitario ebreo di origini magiare Leopold Bloom (Ulisse) vive la sua vita quotidiana. C’è la moglie Molly (Penelope), c’è Stephen Dedalus, (Telemaco) il quasi figlio, proiezione di sé stesso e dell’umanità intera. Ci sono gli amici, le persone che incontra, i pensieri degli individui, delle cose, del mondo.

Diciotto ore. Diciotto capitoli. Una vita intera. Tra pantomima, scherno e poesia.

Diciotto stili narrativi, diciotto libri diversissimi, un’autentica lezione di genio letterario e costruttivo, un dominio assoluto della materia lessicale, la distorsione del linguaggio al servizio della creatività.

Una rivoluzione tematica e lessicale. Inconcepibile, illeggibile, inarrivabile, irresistibile.

L’Ulisse di James Joyce libro-monstre spauracchio per molti è in realtà un libro divertentissimo e pieno di umorismo ma per leggerlo occorre abbandonare ogni consuetudine formale occorre lasciarsi trasportare dalle parole come in una nuova grammatica occorre lacerare ogni velleità di aderenza alla realtà il nonsense diffuso la voluta ampollosità di certi brani la mostruosa visionaria fantasia dei capitoli centrali il famigerato leggendario stream of consciousness che permea l’ultimo capitolo scritto senza l’ausilio di punteggiatura presuppongono l’incondizionata sottomissione del lettore la capacità di interligere  ogni parola ogni riga ascoltare il suono il fruscio della mente.

Ulisse non è il racconto di ciò che accade, ma la radiografia di ciò che passa nelle menti degli uomini, la messa a nudo delle paure, delle pulsioni, dei desideri. Di ciò che rende vivi, e di ciò di cui abbiamo paura.

Per questo è un libro difficile.

Perché è uno specchio.


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