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Ultima lezione per l’Europa: o si cambia o è la fine

Creato il 26 febbraio 2013 da Albertocapece

2541637720Il rifiuto dell’austerità e dell’impoverimento, urlato dagli elettori italiani, non chiama affatto in causa – almeno per un volta -la maturità del nostro Paese, ma quello di un Europa cieca e divisa dagli egoismi nazionali, di fatto inesistente se solo si sottrae una burocrazia ottusa e l’euro. La reazione scomposta della Merkel e di alcuni suoi ministri, la pochezza di Bruxelles, la rituale invocazione ai noti mercati che poi sono qualche decina di banche e organizzazioni finanziarie, la chiamata a raccolta di amici della cancelliera sparsi per i mondo, per invocare la stabilità italiana dentro l’austerità, sono il segno di una acuta carenza di maturità e d’intelligenza che impedisce ai Paesi ricchi di riconoscere i propri enormi errori e di cambiare strada per evitare l’implosione del continente.

Il terrore che salti il giochino dell’austerità e dunque anche i vantaggi per i Paesi che l’hanno imposta, la pervicacia nel credere che i popoli siano così maturi da suicidarsi per i deliri economici di un pugno di idioti senza speranza come quell’Olli Rehn che correrebbe su wikipedia per rispondere alla domanda sul colore del cavallo bianco di Napoleone ( l’esempio è di fantasia, ma si basa su un episodio reale) o per far vincere le elezioni alla Merkel, non ha solo caratteri di straordinaria ottusità e arroganza, ma anche di vera comicità. Figuratevi che ieri il ministro delle finanze giapponese Taro Aso si è preoccupato per il rafforzamento dello yen sull’Euro a causa delle elezioni italiani e ha detto la “volatilità delle valute non è desiderabile: la moneta stabile è un bene per l’economia” Oihbò immaturi italiani state attenti. Ma forse Aso non è quello che ha svalutato del 30% lo Yen rispetto all’Euro in pochi mesi?

Eh Taro, mascherina, mica si dicono le bugie per far piacere alla Merkel e alla Mitsubishi.

Ma non voglio proseguire io. Lascio la parola a Paul Krugman e al suo editoriale su New York Times di qualche giorno fa, ma costruito su ottime informazioni e sondaggi (qui in originale) che tratta appunto della evidente, terribile immaturità dell’Europa e delle sue conseguenze. Così nessuno potrà dire che si tratta di considerazioni campate in aria e frutto di un patetico antagonismo a tutti i costi di chi scrive.

“Due mesi fa, quando Mario Monti si è dimesso da primo ministro l’Economist disse che “La prossima campagna elettorale sarà, prima di tutto, una prova della maturità e del realismo degli elettori italiani”. L’azione matura e realistica, presumibilmente, sarebbe stata quella di far tornare Monti – che è stato sostanzialmente imposto all’Italia dai suoi creditori – questa volta con un vero mandato democratico.

Bene, non è la visione corretta. Sembra che il partito di Monti si posizioni al quarto posto, non solo dietro all’aspirante comico Silvio Berlusconi, ma anche dopo un comico vero, Beppe Grillo, la cui mancanza di una piattaforma coerente non gli ha impedito di diventare il capo di una forza politica potente.

È una prospettiva incredibile, che ha scatenato molti commenti sulla cultura politica italiana. Però senza cercare di difendere la politica del bunga bunga, vorrei porre un’ovvia domanda: che cos’è, esattamente, ciò che attualmente viene fatto passare per maturo realismo in Italia o in Europa?

Per il signor Monti, il proconsole installato dalla Germania per imporre l’austerità fiscale su un’economia già in difficoltà, in effetti, ciò che definisce la rispettabilità nei circoli politici europei è la volontà di perseguire l’austerità senza limiti. Andrebbe anche bene se le politiche di austerità avessero effettivamente funzionato, ma non è così. E più che sembrare maturi o realistici, i sostenitori dell’austerità sembrano sempre più arroganti e deliranti.

Basti considerare come avrebbero dovuto essere le cose a questo punto. Quando l’Europa si è infatuata per le politiche di austerità, gli alti funzionari hanno respinto le preoccupazioni per le quali il taglio della spesa e l’aumento delle tasse nelle economie depresse avrebbero potuto peggiorare le cose. Al contrario hanno insistito e tali politiche effettivamente hanno aumentato la fiducia di queste economie.

Ma la fiducia è durata poco. Le nazioni a cui  hanno imposto l’austerità hanno subito profonde crisi economiche: più dura era l’austerità, più profonda era la crisi. In effetti, questo rapporto è stato così forte che il Fondo monetario internazionale, in un suggestivo mea culpa, ha ammesso di aver sottovalutato i danni che l’austerità avrebbe potuto infliggere.

Nel frattempo, l’austerity non ha neppure raggiunto l’obiettivo minimo di riduzione dell’onere del debito. Al contrario, i paesi che hanno perseguito l’austerità hanno visto il rapporto tra debito pubblico e PIL aumentare, perché la contrazione nelle loro economie ha superato qualsiasi riduzione del tasso di indebitamento. E  dal momento che le politiche di austerità non sono state compensate da politiche di crescita, l’economia europea nel suo complesso – che non si è mai ripresa dalla crisi del 2008-2009 – è tornata in recessione, con tassi di disoccupazione sempre più alti.

 

La sola buona notizia è che i mercati obbligazionari si sono calmati, soprattutto grazie alla volontà dichiarata della Banca centrale europea di intervenire e di comprare debito pubblico in caso di necessità. Di conseguenza, il crollo finanziario che avrebbe potuto distruggere l’euro è stato evitato. Ma è una magra consolazione per i milioni di europei che hanno perso il lavoro e che oggi vedono di fronte a loro delle misere prospettive. Detto ciò, ci si sarebbe aspettato un esame e di coscienza da parte dei funzionari europei, accompagnato da alcuni suggerimenti di flessibilità. Al contrario, però, gli alti funzionari sono diventati ancora più insistenti sul fatto che l’austerità è il vero sentiero da seguire.

Così nel gennaio 2011 Olli Rehn, vice presidente della Commissione europea, ha elogiato i programmi di austerità della Grecia, Spagna e Portogallo e ha previsto che il programma greco, in particolare, avrebbe prodotto “una crescita duratura”. Da allora la disoccupazione è salita in tutti e tre i paesi. Eppure, nel dicembre 2012, il signor Rehn ha pubblicato un editoriale intitolato: “L’Europa deve mantenere la rotta dell’austerità”.

E la risposta del signor Rehn agli studi che dimostrano che gli effetti negativi dell’austerity sono molto peggiori del previsto è stato quello di inviare una lettera ai ministri delle Finanze e al FMI dichiarando che tali studi erano dannosi, poiché minacciavano di erodere la fiducia.

Il che mi riporta in Italia, una nazione alla quale è stata imposta l’austerità e che per questo ha visto la sua economia crollare rapidamente. 

Gli osservatori esterni sono terrorizzati dalle elezioni italiane, ed è giusto così: anche se l’incubo di un ritorno di Berlusconi al potere non si materializzasse, una dimostrazione di forza da parte di Berlusconi, o di Grillo, o di entrambi destabilizzerebbe non solo l’Italia ma tutta l’Europa.

Ma ricordate, l’Italia non è unica nel suo genere: i politici dalla pessima o incerta reputazione sono in aumento in tutta l’Europa meridionale. E la ragione per cui questo accade è che i funzionari europei non ammettono che le politiche che sono state imposte ai debitori sono un fallimento disastroso. Se questo non cambia, le elezioni italiane saranno solo un assaggio della pericolosa radicalizzazione che verrà.”

 


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