Con un porco ventotto nel taschino ho concluso i miei esami.
Non ci credo ancora.
Tornata a casa avevo l'ascella pezzata fino al ginocchio, un po' per l'agitazione, un po' per il caldo.
Gran baci da Pietro, mamma in lacrime per tutto il pomeriggio.
Per l'ultima volta ho seguito meticolosamente il Rituale:
1) cancellazione dell'esame dalla Guida Dello Studente della Facoltà di Architettura A.A. 2005/2006.
2) Calcolo della media ponderata + probabilità e influenza sulla media della valutazione dell'esame successivo. (Non mi importa se pensate che io non sono normale). In questo caso solo calcolo della media ponderata. Parto da 102.
Ho ripensato con nostalgia a questi anni. Alle delusioni, alle nottate ad impaginare, alle battute simpatiche tipo: "S'è fatto 30, si fa 30 e lode!", alla Tennent's bevuta alle 2 del pomeriggio dopo il 30 e lode ad Antropologia Culturale, esame preparato in un pomeriggio.
Dovrei consegnare il libretto in Segreteria, ma non sono ancora pronta, voglio tenerlo ancora qualche giorno con me.
Un giorno ti accorgi di essere diventato grande.
A seguire maratona di Gossip Girl.
12 luglio. San Siro. Take That in concerto. Devo aggiungere altro?
Beh, mi professo un indiesnob, ma sono più un indieminchia e vorrei stare a parlare di come Mellon Collie mi abbia cambiato la vita (cosa che in realtà è effettivamente successa) e scrivere un post alla Nick Hornby, però la verità è che per le boyband ci sono rimasta sotto anche io. E non me ne sono persa una!
Iniziata ai Duran Duran da mia sorella Giulia, che ha tenuto in camera il poster di John Taylor fino al '98 inoltrato, ho proseguito la mia strada con Take That, East 17, Boyzone (che Dio abbia in gloria il povero Stephen), Backstreet Boys, 5ive, Ultra (che fighi che erano!) 911 e, per non farsi mancare niente, la mia libreria musicale si estendeva anche dalle Spice alle All Saints passando per le B*Witched e le Cleopatra.
Della mandata di furore per i TT in realtà io, classe 1985, ero tra le più giovani. Avevo da poco smesso di leggere il giornale di Barbie per passare a cose più serie tipo Cioè e Top Girl, giusto per sancire l'ingresso nell'adolescenza, ma in fondo ero ancora una bambina e continuavo a guardare Sailor Moon e a non capire il senso di tutti quegli articoli sulla fatidica prima volta.
Ero troppo piccola, dunque, e la mamma al concerto non mi ci mandava di certo, ma questo non mi ha comunque impedito di tappezzare la camera di poster, seguirli a San Remo (con mia sorella Giulia che diceva che almeno i Duran Duran o gli Spandau sapevano suonare e cantare e che comunque dei suoi amici che erano stati a Londra avevano detto che in quel modo si vestivano solo i ragazzi che frequentavano l'ambiente gay e quindi di trarne le mie conclusioni), o di sognare di sposarmi un giorno con Mark Owen ignara del fatto che un giorno io sarei cresciuta in altezza e lui no, o, infine, di soffrire molto quando si sciolsero, promettendo solennemente di comprare tutti i dischi solisti che avrebbero fatto (poi però ho appunto scoperto gli Smashing Pumpkins, sculo).
Ad ogni modo l'immagine di Gary Barlow conciato come Billy Idol sulla copertina di Take That and Party, mi fa sempre venire un sacco di nostalgia, direttamente proporzionale alle lacrime di quando ascoltavo Babe, di cui non capivo assolutamente le parole e non potendo comunque fare a meno di pensare al maialino coraggioso venuto fuori in quel periodo, immaginando che Mark in persona la cantasse per me. Che tempi.
Sono inoltre felice di riferire che il giorno che sfondai la porta a vetri della mia stanza, provocandomi lo sbrano da 30 punti che tutti, con aria contrita, muoiono dalla voglia di toccare, chiedendomi "cosa ho fatto lì", facendomi incazzare mortalmente, peraltro, perchè io odio che mi si tocchi la cicatrice che porto sul braccio e inducendomi a mostrare anche l'altra cicatrice, quella all'altezza del gomito, che in genere tende a far chiedere ai più arguti se il vetro non mi abbia trapassata da parte a parte (ma secondo voi?), mi sono persa, ma comunque quel giorno sfondai la porta della mia camera sulle note di Whatever you do to me. Pensa un po'.
Andare a San Siro è stato un gesto dovuto a quella bambina con la fascia sul braccio d'estate per non prenderci il sole.
Inutile dire che è stato bellissimo, nonostante la visuale dal terzo anello in ultima fila di lato non fosse delle migliori, e spicciole ovvietà, tipo che Mark Owen è rimasto un nano, che Jason Orange è sempre fichissimo come allora, chiedervi un minuto di silenzio per Howard Donald che è svaccato in maniera vergognosa ed è un peccato o Robbie Williams che è davvero un cavallo.
Peccato non aver ritrovato il ciondolo con la doppia T che allora non mi toglievo nemmeno per dormire.
E' stato bellissimo e ho urlato e cantato ad un passo dallo smutandamento, anche se riascoltare Everything Changes oggi mi fa accapponare la pelle.
Ormai Milano ed io siamo culo e camicia. Mi sono addirittura arrischiata in metropolitana da sola.
E quindi via di shopping. Duomo, San Babila, Corso Matteotti.
Non avevo una lira per fare due. Però la tappa da Ladurèe era d'obbligo.
Tutti ne parlano, tutti li vogliono, sono MESI che cerco di cucinarli, Kenzo ci ha pure fatto una borsa, l'altra volta poi non ce l'avevamo fatta a passare e, come insegnano tutte le blogger più in voga, mai più senza macaron.
Con mia grande sorpresa ho tuttavia scoperto che dopotutto sto un pezzo avanti e che su sapore e dimensione ci siamo più o meno. Debbo lavorare ancora sulla forma (ma in verità vi dico che dall'ultimo esperimento ne è uscito fuori uno abbastanza presentabile).
Ad ogni modo, sarà stata pure la sagra del turista medio, ma essere lì dentro è stato sublime. Un buon profumo, una musica rilassante, quei colori pastello, la commessa francese con un po' troppa puzza sotto al naso, va detto, ma comunque gentile.
Uscendo di là, un macaron al pistacchio in una mano, il sacchetto nell'altra, gli occhiali di Prada, mi sono sentita Blair Waldorf per dieci minuti. Son soddisfazioni.