Stefano SantarsiereUltimi quarantasecondi della storia del mondoThriller- edizioni AbelbooksPagine 391Prezzo 4, 99 €ISBN 9788897513292Anno 2011
Nota preliminare di cronacaIl romanzo è fresco vincitore del primo premio al concorso “Casa Sanremo writers 2012”organizzato dalla casa editrice Qulture nell'ambito delle manifestazioni legate al festival dellacanzone italiana
TRAMA:"Eppure, pensò il commissario, qualcosa doveva pur esserci, bennascosta nelle pieghe di quella vita apparentemente normale. Qualcosa diinafferrabile agli occhi di un uomo come lui, abituato alla città, alla lucedel sole, ai fatti che si presentano per come sono. Era come con gli altripaesani. Proprio quando sembrava che tutto scorresse normalmente, nellaconsueta e secolare tranquillità, senza la minima increspatura… proprio alloraera segno che sotto la superficie si nascondeva un mondo brulicante di attivitàambigue e pericolose."
E’una mattina di agosto quando don Pietro Miraglia, l’amato parroco di un paeselucano, viene assassinato a colpi di martello nei giardini della scuolaelementare. A indagare è il commissario Antonio Sparagno, sul quale pesa unavecchia indagine di camorra che ne ha compromesso la carriera e causato iltrasferimento nell’odiata Basilicata.Mal’omicidio rivela al poliziotto un volto imprevedibile di quelle comunità inapparenza tranquille. Diversi personaggi dimostrano legami con la vita (e lamorte) della vittima: ad esempio Giovanni Belisario, insegnante vedovo, alleprese con un difficile equilibrio tra il figlio Carlo e l’enigmatica cognataElena; Roberto Bradadich, giovane in crisi esistenziale che ha abbandonato lacittà per tornare al passato; Mimmo Coppola, spregiudicato giornalista chevuole sfruttare la tragedia per lanciare la sua emittente.Alla vicenda fa da sfondoun pugno di paesi, legati insieme da un tessuto di boschi e campi, ma anchepozzi di petrolio, masserie diroccate, santuari oggetto di fanatichevenerazioni. Un mondo pervaso da una secolare lotta tra Fedi contrapposte,schierate intorno a una misteriosa quanto antichissima Madonna Nera.RECENSIONE:Un paese della Basilicata, più precisamente della Val d'Agri, un parroco beneamato, il suo cadavere e, poco distante, l'arma adoperata per assassinarlo: è un batticarne. “Ultimi quaranta secondi della storia del mondo” di Stefano Santarsiere inizia dal motivo, classico, del delitto in cerca d'autore. Poco dopo infatti compare sulla scena del crimine il commissario Sparagno. A lui spetta il compito di risolvere il caso. Solo che non è un caso. E' un enigma perché non ci troviamo di fronte a un'occasionale infrazione violenta dell'ordine consueto ( e costituito), a una rottura brutale, ma circoscritta del tran tran di una realtà decentrata. Sarebbe rassicurante, ma così non è.Pagina dopo pagina il libro ci porta a ripercorrere una lunga storia che prende le mosse lontano nel tempo e nello spazio. Nello spazio, perché tutto comincia in Africa. Nel tempo, perché la chiave del mistero è il libro di Enoch, un testo ebraico apocrifo del I secolo a.C., che la sola Chiesa Copta ha incluso nel proprio canone biblico. Un thriller esoterico, in sostanza, ma non il solito thriller esoterico perché l'autore riesce nell'impresa di rispettare le regole del filone, ma a modo suo, senza cercare sponde in meccanismi e “trucchi” già abbondantemente sperimentati. Mancano ad esempio gli effetti speciali e gli espedienti cervellotici che spesso caratterizzano questo tipo di thriller.Mancano anche le trovate dirompenti, sovente troppo dirompenti per esserlo davvero.Qui è la materia narrativa stessa a generare progressivamente la tensione attraverso i dettagli che emergono dalle vite e dalle azioni dei personaggi: questi percorrono la realtà dal proprio lato e percorrendola raccolgono schegge che progressivamente si incastrano in un disegno coerente. Si forma quindi un tracciato che indirizza alla posta in gioco. E' la meta. Per raggiungerla occorre pagare un prezzo. Qualcuno paga con la vita. Tutti pagano con la perdita delle certezze e dei punti di riferimento. Per questo, forse, l'autore nel frontespizio definisce il suo thriller come iconoclasta.Risultato: quasi 400 pagine avvincenti in modo naturale, senza forzature. Merito del magistero ritmico dell'autore, capace di sviluppare le situazioni rimanendo sempre equidistante dal poco e dal troppo, che si tratti di peripezie individuali, di amare rivelazioni, di relazioni ambigue, di corrotti maneggi economici, di deliri spiritualizzanti a sfondo cosmico, del collasso simbolico prima ancora che materiale di una comunità e della sua cultura. Merito anche dell'angolazione realistica, quotidiana: è nelle ore e nei luoghi di tutti i giorni, nelle pieghe del quotidiano che si formano le forze centrifughe destinate a frammentare nel profondo la realtà personale e collettiva.VALUTAZIONEUn thriller avvincente, un romanzo di sostanza, con molti accenti originaliPILLOLA SULL’AUTORENato nel 1974, Stefano Santarsiere vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato diversi racconti e due romanzi, L'arte di Khem nel 2005 e Ultimi quaranta secondi della storia del mondo nel 2011. Scrive per non tornare a casa. Questa e altre notizie su di lui e la sua opera si possono leggere nel sito personale: http://www.santarsiere.it/index.htmlQualche flash sul romanzo conversando con l’autore
L’incipit del romanzo recita “thrillericonoclasta”. E’ un’etichetta o è una chiave di lettura con un bersaglio benidentificato?Diciamo che si tratta diun’etichetta che anticipa un aspetto del romanzo, il quale contiene un elementodi iconoclastia, intesa come critica al significato dei simboli religiosi. Lasovrapponibilità e l’ambiguità delle icone, l’utilizzo strumentale che ne èstato fatto – in questo caso, dalla Chiesa – e la loro attitudine a generareviolenza, è un tema ben evidente nel libro.
Eccettouna puntata a Trieste, il teatro operativo del romanzo è la Basilicata. Ma laBasilicata è la “location” oppure è un personaggiotra gli altri? A volte durante la lettura ho avuto l’impressione che sia quasila vera protagonista…Che cosa esprime questa regione nel romanzo? Direi che la Basilicata e la Vald’Agri in particolare rappresentino qualcosa di più di uno sfondo. Per primacosa i personaggi hanno caratteristiche decisamente ‘lucane’ – in qualunquealtro luogo sarebbero molto diversi, dunque la stessa storia avrebbe unosviluppo differente. Inoltre, la Basilicata è una regione a mio avviso‘sospesa’, una sorta di cerchio magico dove le cose accadono in modo vagamenteasincrono rispetto al resto del mondo. E’ un luogo intriso di fervore religiosoe di folklore, in un’epoca dominata dalla secolarizzazione. Vi sono pozzi di petrolio a pochi km dai campieolici. Molti si ostinano a vivere nelle campagne mentre altrove esse sispopolano. Un contesto simile è perfetto, a mio avviso, per una vicenda cheesprime la confusione e perfino il sovvertimento del rapporto tra sacro eprofano, dove i simboli religiosi e quelli tecnologici paiono sfumare gli uninegli altri. Insomma la Basilicata, proprio per le sue contraddizioni, per ilsuo smarrimento, ma anche per il bisogno di spiritualità che essa esprime, inquesto libro si trasfigura e assume il volto di un intero mondo, di un’interaepoca.
Lapassione fondamentale dei personaggi, anche di quelli minori, sembra essere laverità. Da fuggire, da cercare o da imporre, non importa; e non importa seaffettiva o economica, giudiziaria o religiosa.Perché sono tanto affascinati dalla verità da privilegiarla fino alpunto da decentrare in qualche caso l’istinto di conservazione? Hai colto il motore principaledel libro, ciò che muove il conflitto: verità e negazione della verità sifronteggiano costantemente. I personaggi non sono tanto affascinati, quanto obbligati alla verità. Il padre che deve saper la verità sul figlio. Il figlioche deve saperla sul padre (e la madre). Il ragazzo deve sapere chi hascassinato il suo negozio e capire se la sua vita è in pericolo. Il ricercatoredeve scoprire perché il suo interlocutore è stato assassinato. Ognuno insegue queste verità non percapriccio, ma per salvare la propria vita o quella delle persone amate. Infondo, questa ricerca è essa stessa dettata dall’istinto di conservazione.
Restandosulla verità, l’unica eccezione è il giornalista e imprenditore televisivoambizioso. Su di lui la verità non fa presa. La manipola senza scrupoli. E’l’unico a privilegiare il proprio Ego.Che cosa va in scena con lui? Soloangustia morale, necessità di mestiere o qualche cosa d’altro? In fondo anche Mimmo Coppolatende alla verità, solo che lo fa a proprio modo. Verso la fine anch’egli (ad esempio nella scena in cui rimprovera ilsuo cameraman) dimostra di avere solo un intenso di bisogno di conoscere. E laconoscenza, nel suo caso, equivale a sopravvivere nel mercatodell’informazione.
Luoghi,personaggi, verità. Ma nel romanzo c’è anche il tempo in primo piano. Fin daltitolo. Il tempo della lunga durata che vuole proiettarsi nel futuro e modellarlo.E il tempo del quotidiano, della vita di tutti i giorni. In mezzo gli esseriumani in carne e ossa che sembrano stentare a saldare positivamente le duedimensioni. Possiamo approfondire ilpunto?Il tempo grava sulla storia comeun sortilegio. Tutto avviene in pochi giorni di un agosto torrido, in cuiscorre più sangue per le strade del piccolo paese che pioggia dal cielo.All’improvviso il tempo viene sbrigliatoe ricondotto all’indietro, fino alle origini stesse dell’uomo, in un giocovertiginoso innescato dai contenuti di una bibbia apocrifa. La ragione stanell’incognita – anch’essa una mia ossessione – di cosa ci lega al passato, dicosa davvero conserviamo della nostra origine;e quindi, simmetricamente, a cosa siamo destinati. L’idea si riflettenel comportamento dei personaggi: è come se ognuno di essi lottasse contro laderiva che minaccia la sua esistenza, costantemente, e avvertisse la necessitàdi ricostruire le rotte che ha percorso, solo per indovinare l’approdosuccessivo. Ad esempio il giovane Bradadich che decide di tornare in paese escoprire il passato della sua famiglia.
Chi èl’Io narrante del romanzo, questa terza persona dalla vista così acuta e lapenna così precisa ? Ha forse luiquell’ironia che i personaggi, troppo presi dalla loro partita con laverità e il tempo, non possono permettersi?Trattandosi di un romanzo scrittonella forma del discorso libero indiretto, l’io narrante coincide con ognunodei co-protagonisti della storia. Ma è probabile che in essi c’è una parte dime (o forse di qualche altro Io che perfino il sottoscritto ignora). E questospiega perché non è stato risparmiato un trattamento leggermente cinico anessuno dei protagonisti di questo libro. Incluso il commissario Sparagno.
Scrivereun romanzo è anche nuotare nell’oceanodella parola. Con quale stile ha fatto questa traversata? Ho l’ambizione – forse superiore alle mie capacità – dicostruire uno stile che risulti fruibile senza l’impersonalità di tanti libridi genere, un po’ simili dal punto di vista linguistico. Mi piacerebbe scriverein modo comprensibile ma non disadorno, far sìche i vocaboli esprimano direttamente, e in modo originale, il proprioconcetto, limitando l’uso di aggettivi e stampelle varie. Vorrei insomma che la voce dei miei testi avesse un timbroparticolare, e che il coro delle parole fosse armonioso e mai sguaiato oridondante.
Stendhal,lo dichiara egli stesso a più riprese nelle opere autobiografiche, scriveva peri posteri, i famosi quindici lettori del 1880. E Stefano Santarsiere, per chiscrive? Per i lettori affascinati dastorie in cui ‘persone ordinarie si trovino in circostanze straordinarie’ - perdirla alla Spielberg.Storie in cui la quotidianità nonè che l’inizio.