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"Umiliati, picchiati e schiavizzati da chi gestisce le occupazioni e specula su tutto". Un racket romano che si finge di non vedere

Creato il 10 giugno 2014 da Romafaschifo
Pubblichiamo qui di seguito una ampia intervista uscita sulle colonne de Il Tempo ieri 9 giugno 2014. Sappiamo perfettamente quale sarà l'obiezione della feccia romanara che difende lo scandalo assoluto delle occupazioni a fine abitativo a Roma: Il Tempo è di proprietà di immobiliaristi e palazzinari che, come tali, sono interessati a ostacolare il movimento delle occupazioni. Può anche darsi. Ma allora a Londra, a New York, a Tokyo e a Madrid quale giornale palazzinaro mette in cattiva luce le occupazioni visto che in quelle città lo scandalo che esiste a Roma non sarebbe neppure lontanamente concepibile? Il punto non è credere o non credere a quel che riporta - crediamo con cognizione - Il Tempo; il punto è convincersi che la vergogna di case pubbliche e private rubate arbitrariamente da gruppi di potere che poi le gestiscono a loro comodo con metodi per definizione discutibili esiste soltanto a Roma. E va annientato quanto prima: ci sono delle inchieste, speriamo che la magistratura faccia con rigore il proprio lavoro.***«Siamo stati schiavizzati, umiliati e insultati. Hanno speculato sul nostro stato di bisogno, mentre loro sfoggiavano pellicce di visone e macchinoni». Massimo A. e Gianfranco M., a distanza di quasi un anno dal giorno in cui sono stati cacciati dall’ex scuola Hertz occupata, hanno ancora difficoltà a riprendersi. Sono stati i primi a denunciare gli abusi subiti dal Comitato popolare di lotta per la casa gestito da Pina Vitale e a far partire le indagini della Procura.Gianfranco come siete entrati in contatto con il Comitato?«Non riuscivamo ad arrivare a fine mese. L’affitto ci costava 600 euro mensili, io ne guadagnavo 700 e il mio compagno era appena stato licenziato dal bar in cui lavorava. Per mangiare ci aiutava la Caritas. Un giorno siamo venuti a sapere dell’esistenza di uno sportello del Comitato di lotta per la casa. Il nostro primo incontro con Pina Vitale è stato imbarazzante. Appena ci ha visto ci ha detto: “Finalmente una coppia di frocioni nel mio comitato”. Poi ci ha spiegato che per avere un alloggio avremmo dovuto fare un percorso che prevedeva il pagamento di una quota mensile di 10 euro e l’obbligo di partecipare alle riunioni e alle manifestazioni che organizzavano: alla terza assenza saremmo stati depennati dalla lista. In più dovevamo comprare una maglietta con il logo del comitato che costava altri 10 euro».Sapevate che era un percorso illegale quello che vi era stato prospettato?«No, noi eravamo convinti di essere nella legalità, perché sin dalla prima riunione la Vitale ci parlò di un progetto pilota di “solidarietà, legalità e integrazione”, già approvato al Comune e in attesa del finanziamento Ue. Le famiglie dovevano costruire da sé le abitazioni, pagando anche il materiale. Non potevamo lasciarsi sfuggire questa occasione. Siamo pure stati costretti ad andare a Parigi per partecipare a una manifestazione. Pina ci aveva detto: andate là, fate la presenza e così ci daranno il posto. È stato massacrante: 24 ore di viaggio, distribuiti su tre pullman, con pochissime soste e qualche panino».Come siete passati alle occupazioni?«A marzo del 2011 con l’ex clinica di via delle Medaglie d’Oro. Quello è stato un tirocinio, una prova generale, per vedere come ce la cavavamo. A ottobre, invece, abbiamo preso possesso dell’ex scuola Hertz, sulla Tuscolana, struttura prescelta per realizzare il famoso progetto europeo. Eravamo in quattro a fare i lavori, dalle 9 del mattino alle 9 di sera, festivi compresi. Abbiamo cominciato col rifare le fogne e poi siamo passati al primo e al secondo piano. In tutto abbiamo ristrutturato 20 appartamenti. All’inizio lo facevamo con entusiasmo, anche perché vedevamo che venivano a trovarci giornalisti, politici, studenti».Quando sono cambiate le cose?«Quando ci hanno chiesto 100 euro per le utenze, senza darci nulla della quota mensile raccolta da ciascuna famiglia per la nostra manodopera: in 18 mesi di lavoro siamo stati pagati solo 400 euro. Per giustificarsi Pina diceva che i soldi del fondo cassa li aveva mandati ai terremotati dell’Emilia, un’altra volta a quelli dell’Abruzzo. Contemporaneamente abbiamo notato il cambiamento nel loro tenore di vita. Le donne del comitato hanno cominciato a sfoggiare gioielli, abiti e occhiali firmati. Pina si è presentata con una pelliccia di visone, il compagno con una macchina da 30 mila euro spuntata fuori dal nulla. Come facevano a permetterselo se dicevano di prendere 500 euro a testa di stipendio? Sono pure andati in vacanza a Capoverde insieme a Serena Malta e al suo compagno. Guai a farglielo notare! Ci insultavano perché eravamo “occupanti di me..a”, delle donne arabe dicevano che “si coprono la testa e si scoprono il c..o”. Abbiamo iniziato a vivere nel terrore quando Pina ha cacciato una donna con le sue due bimbe, di sera e in piena inverno».Oltre ai lavori cosa dovevate fare?«L’Angelo Mai era la loro gallina dalle uova d’oro. Con la scusa dei picchetti, ci facevano ripulire tutta la struttura. A volte lavoravamo nelle tre postazioni bar. C’era un giro di soldi assurdo, senza che venissero rilasciati scontrini: l’entrata costava 5 euro, i cocktail alcolici 10. Dopo aver racimolato una certa somma, passava qualcuno del team a svuotare la cassa. Io sono stato pagato 40 euro per aver lavorato due giorni dalle 19 alle 5 di mattino (racconta Massimo, ndr). Alle donne, invece, veniva imposto di preparare le pietanza per l’Hosteria da Pina. A ciò si sommava la “tassa” per compleanni, anniversari e feste. I regali per Pina e famiglia erano sempre super costosi, dall’Ipad all’Iphone. Si speculava su tutto».Come è finita?«Il comitato ha deciso di cacciarci dalla Hertz, solo perché avevamo chiesto la residenza. Una sera hanno sfondato la porta del nostro appartamento e ci hanno spinto verso l’uscita. Abbiamo vissuto per tre mesi in macchina, aiutati da un prete, poi siamo stati costretti a lasciare Roma. I nostri vestiti e i ricordi sono spariti. E ancora ora viviamo nell’angoscia. Per questo chiediamo giustizia».

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