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Un accenno di riforma

Creato il 10 ottobre 2014 da Propostalavoro @propostalavoro

Un accenno di riformaNonostante le polemiche, il Jobs Act ha superato lo scoglio del Senato, grazie alla fiducia imposta dal Governo. Ora toccherà alla Camera esprimersi su un testo, per la verità, privo di quella valenza rivoluzionaria, millantata dal Premier Renzi.

Chiariamoci subito: c'è ben poco da commentare sulla seconda parte del Jobs Act, visto che il testo è ridotto all'osso, mentre, per quanto riguarda i punti salienti (nuovi Centri per l'Impiego, reddito minimo, Articolo 18, revisione della pletora di contratti esistenti), ci si limita a qualche riferimento, rimandando tutto ai decreti attuativi, che il Governo dovrà redigere entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge.

La mossa è ben studiata: grazie ad una legge delega così vaga, infatti, il Governo avrà più spazio di manovra nei decreti, dato che il parere del Parlamento, su di essi, non sarà vincolante, tagliando così le gambe alle opposizioni.

Bella furbata, ma rischiosa: basta, infatti, che anche una sola virgola nei decreti sia discorde con la legge delega, che potranno essere impugnati per incostituzionalità. Ovviamente, i contrari al Jobs Act non aspetteranno altro: la battaglia, insomma, è appena iniziata. Vediamo, quindi, cosa riguarderà.

1. Ammortizzatori sociali. L'idea di base è quella di importare, in toto, il sistema nordeuropeo in Italia, contando – troppo – sugli ottimi risultati ottenuti in Paesi come la Germania, l'Olanda o la Danimarca. Ecco, quindi, la decisione di introdurre un'unica forma di sostegno al reddito (l'Aspi o qualcos'altro di simile), da rafforzare, probabilmente, con il reddito di cittadinanza e/o il reddito minimo.

A ben poco, sembra, serve ricordare a Renzi & Co. che siamo in Italia e non nei Paesi Scandinavi e che il nostro modello sociale, economico e politico è fortemente diverso da quello di Paesi come la Germania, quindi, ecco la domanda: abbiamo i mezzi economici, gli strumenti giuridici e, soprattutto, il terreno sociale adatto per introdurre questa novità?

I nostri conti sono in rosso sparato; la nostra burocrazia è complicata fino all'eccesso; la società italiana è troppo statica, per assorbire, senza danni, un sistema pensato per le dinamiche società del Nord Europa. Ho paura, quindi, che la risposta sia no: il Premier sta cercando di far infilare, all'Italia, un abito che, non solo rischia di non starle bene, ma che, con tutta probabilità, non è nemmeno della sua taglia.

2. Servizi per il lavoro e politiche attive. Questo, sembra proprio pane per i denti dei nuovi Centri per l'Impiego che, secondo la visione renziana, avranno il difficile compito di guidare gli aspiranti lavoratori nella ricerca di un'occupazione. Come? Mistero: nella prima stesura del Jobs Act si faceva genericamente riferimento ad una loro riforma, mentre, nel testo uscito dal Senato, non se ne parla proprio.

La vedo dura: dal punto di vista del job searching, infatti, in Italia, sono i privati – le agenzie interinali – a farla da padroni, tanto che, solo il 5% degli attuali occupati ha trovato lavoro grazie ai Centri per l'Impiego (dati Istat). Occorre, quindi, una revisione completa, sia di metodi che di personale: serve una struttura di tutoring, che segua l'aspirante lavoratore, passo passo, nella sua ricerca di un'occupazione; che, tramite interviste e corsi di formazione, faccia risaltare i suoi punti di forza; che tramite appositi precorsi di selezione, lo guidi verso la sua nuova occupazione.

Attualmente, i Centri per l'Impiego possiedono questo know-how? Inoltre, il personale è, numericamente, sufficiente? Teniamo presente, infatti, che i Centri hanno una forza lavoro di circa 20 mila unità: molto pochi, se si pensa all'enorme mole di problemi che dovranno affrontare (la Germania, per esempio, ha 90 mila addetti, nei suoi Centri).

E i fondi? Manodopera specializzata, programmi di formazione e di selezione del personale: tutto costa; il rottamatore dove troverà il denaro necessario? E che dire, infine, del ruolo dei privati: davvero, resteranno a guardare, mentre lo Stato si riappropria di questo settore?

3. Revisione delle forme contrattuali di lavoro del lavoro. Il tempo indeterminato è la regola ed il mezzo per applicarla è il contratto a tutele crescenti. Bene, bravo, bis! Ma un attimo: al termine del periodo senza tutele, ci sono degli obblighi che impongono alle aziende di assumere a tempo indeterminato?

A prima vista, sembra proprio di no: di conseguenza, cosa distingue il contratto a tutele crescenti che non cresceranno da un semplice contratto a tempo determinato? La risposta è una sola: nulla. E meno male che, l'obiettivo dichiarato è l'eliminazione del dualismo lavoratori di serie A (quelli coperti dall'articolo 18) e lavoratori di serie B (i precari), estendendo le tutele a tutti. Di fatto, invece, con le tutele crescenti che non cresceranno, si avranno solo lavoratori di serie B, molto ricattabili e poco pagati. Un modo per aumentare la flessibilità in uscita e non in entrata, come hanno notato alcuni.

Renzi, per tamponare la falla e le polemiche, ha fatto, vagamente, riferimento ai vantaggi ed agli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, riproponendo, in questo modo, un programma già utilizzato dai Governi che lo hanno preceduto (Berlusconi, Monti, Letta), i cui risultati, però, vanno dall'irrilevante all'inutile. 

Questi, per ora, i punti salienti e più critici, in attesa che il Governo sveli le sue carte con i decreti attuativi, in cui sarà contenuto il cuore vero e proprio della riforma e su cui si svolgeranno le battaglie politiche e sociali più intense.

Danilo


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