Tre anni fa il professor Carlo Bellieni ci proponeva: “La parola «feto» dovrebbe essere bandita”. “Lo chiamiamo «feto» un minuto prima della nascita e «bambino» un minuto dopo – argomentava – ma che cosa cambia? Sul piano fisico assolutamente nulla”. Detto da un neonatologo, che non dovrebbe essere all’oscuro delle variazioni dei parametri cardiocircolatori, respiratori, ematologici, metabolici, neurologici ed endocrini che si hanno al momento della nascita, la cosa ci stupì non poco. Poi sapemmo che era membro della Pontificia Accademia Pro Vita e chiudemmo un occhio: per far carriera c’è gente disposta pure a far pompini, mentre il professore si era limitato a una timida performance linguistica. Poco convinta, bisogna aggiungere, perché da allora Bellieni non ha mai smesso di usare la parola «feto», alla faccia del buon esempio. Per dire: nell’ultimo suo articolo (L’Osservatore Romano, 22.12.2010) la usa cinque volte.Passò meno di un anno e il professore attirò ancora la nostra attenzione: “I bimbi nati dopo fecondazione in vitro hanno un rischio di certe malformazioni maggiore degli altri”, disse che l’aveva letto su Lancet (VII/2007); ma il giorno dopo chiese scusa, aveva letto male (c’era scritto: “avranno uno sviluppo pari agli altri”). Anche qui chiudemmo un occhio: può capitare a tutti.L’avevamo perso di vista, ma poi l’anno scorso se ne venne con un’altra delle sue: “Certamente l’introduzione nelle case dei Paesi occidentali di acqua corrente e servizi sanitari ha determinato una netta diminuzione di malattie infettive. Bisogna tuttavia riflettere su dei fatti che sembrano essere il rovescio della medaglia del nuovo fenomeno: l’eccesso di abluzioni porta ad un enorme consumo di acqua, in gran parte potabile, ad un’immissione nelle acque reflue di sostanze tensioattive, talora non biodegradabili, e alla perdita di quei germi «buoni» che talora sono la premessa per la protezione contro quelli patogeni”. Tremammo, pensammo che il magistero della Chiesa volesse porre un veto al bidet: timore eccessivo, la cosa abortì lì.Passa un altro anno e riecco il professore…“La diagnosi prenatale genetica, anche quando venga fatta sul sangue materno e senza rischio per il feto, non è eticamente neutra. Se servisse per curare sarebbe altra cosa, ma le possibilità di terapia dei malati di sindrome Down sono praticamente zero. La ricerca della sindrome Down del feto non deve essere uno screening, perché non è interesse dello Stato andare a individuare i bambini affetti prima della nascita”.Lo Stato? E che c’entra lo Stato? Lo Stato non può imporre (ma nemmeno vietare) un’amniocentesi. Eticamente neutra o no, c’è una legge – una legge dello Stato – che consente la diagnosi prenatale delle patologie fetali che sono diagnosticabili e che consente l’interruzione della gravidanza se una di queste patologie fetali può mettere a rischio la salute fisica o psichica della gravida: è questa legge che non è eticamente neutra, perché il professor Bellieni non si fa promotore di un referendum per abrogarla invece di starnazzare obliquamente?“Far diventare screening la diagnosi genetica prenatale surclassa la scelta individuale della donna”, aggiunge, ma chi ha mai imposto un’amniocentesi ad una cattolica che l’abbia ritenuta superflua perché comunque intenzionata a portare avanti la sua gravidanza, che il feto fosse o no affetto da sindrome di Down? Anche qui, comunque, si evidenzia un’inclinazione del professor Bellieni all’uso ambiguo della lingua. “Surclassamento” sta per “schiacciante superiorità”: se nessun screening è imposto, chi si schiaccia?
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