Riprendo, con qualche imprudenza, a dire qualcosa sul nostro blog. Nei sei mesi e più di congedo (certo ne avrei fatto a meno) ho seguito articoli e commenti, spesso con una gran voglia di intervenire, prontamente e amorevolmente repressa. Non mi permetterò, va da sé, di interloquire con gli articoli pubblicati né con i commenti suscitati. Voglio solo ringraziare Aba Losi che per tutto questo lungo periodo ha gestito il blog con attenzione e ammirevole maestria. (zfp)Quando scrivevo l'ultimo mio intervento in questo spazio libero, stava per scoppiare la guerra in Libia. Dei protagonisti di allora, il marito di Carla Bruni con i suoi jet che bombardavano le truppe di Gheddafi, la signora Angela Merkel che faceva la riottosa, l'inglese Cameron anch'egli impaziente di scaricare bombe nel deserto, solo uno non è più al comando. È stato defenestrato, a quel che si dice, dai mercati che, invece, pare assodato se ne fregassero allora che comandava così come se ne fregano ora che non comanda più.Certo non mi lamento della uscita di scena di Berlusconi come non mi sono, per la verità, lamentato della sua permanenza in scena. So di scandalizzare non pochi amici dell'una e dell'altra tifoseria, ma così è: viste le cose qui dalla colonia, non fa differenza che un primo ministro dello Stato italiano si chiami Silvio o Giuliano, Bettino o Massimo, Carlo Azeglio o Romano. Né la farà, la differenza, fino a quando il rapporto fra la Sardegna e l'Italia sarà quel che è stato ai tempi di Giuliano, Bettino, Massimo, Carlo Azeglio, Romano e, naturalmente, Silvio. Nessuno di questi signori è stato malvagio nei confronti della Sardegna, ci mancherebbe. Tutti, nessuno escluso, sono stati fedeli interpreti di una primordiale concezione di Stato-Nazione: una lingua, un popolo, uno Stato. E per tutti è stato del tutto naturale mettere al primo posto gli interessi “nazionali” dell'Italia, contrabbandati come interessi generali, interessi, vale a dire, comuni con la stessa intensità a tutte le nazioni che formano la Repubblica italiana. Una balla.È quasi certo che da stasera la Repubblica avrà un nuovo governo, più che nuovo inedito in regime di democrazia. Forse hanno ragione i più dei commentatori e dei politici, dicendo che in Mario Monti e nel suo governo sta la residua possibilità di salvezza dell'economia italiana (e dunque dell'Italia). Non sono indifferente a tutto ciò, va da sé, visto che a questa economia è legata la sopravvivenza mia, della mia famiglia e di centinaia di migliaia di altri sardi. Ma non ne gioisco. La Sardegna, le sue classi dirigenti e tutti noi, abbiamo gettato via altri due anni e mezzo, rifiutandoci di metter mano alla riforma della nostra carta costituzionale. Ci ritroviamo così in balia al centralismo che, assicura Monti, sarà rafforzato. Addio federalismo, anche in quel simulacro apparecchiato dal governo passato che, comunque, meglio di niente fu. Nel silenzio inquietante che, sotto questo aspetto, sta coprendo le società italiana e sarda, c'è meno male la voce della Lega che mette sul tavolo della politica non solo un po' di opposizione al governo del 90%, ma soprattutto gli interessi della Padania. Quella realtà che imprudentemente è stato detto non esiste: quasi che i sentimenti di identità nazionale abbiano bisogno del riconoscimento altrui per essere fondati. Insieme a questi interessi non dispero di vedere, passata la sbronza unanimista, anche quelli della mia terra. Che non sono, né saranno mai coincidenti con quelli dello Stato italiano.
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