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Un'amara delusione: La ventisettesima città, di Jonathan Franzen

Creato il 08 dicembre 2012 da Consolata @consolanza

Si può amare moltissimo un libro di un autore e detestarne un altro? Sì, è ovvio, questa domanda retorica molto è stupida ma non sapevo come cominciare la recensione di La ventisettesima città, romanzo d’esordio di Jonathan Franzen uscito nel 1988 in prima edizione e ambientato nel 1984, e in Italia nel 2005 per Einaudi con traduzione di Ranieri Carano. Ho letto qualche giudizio prima di cominciarlo, dove si spendono nomi come Vonnegut e altre amenità. Non è vero, questo lunghissimo, sentenzioso, ambiziosissimo, sostanzialmente inutile romanzo mi dice che l’autore è certamente molto dotato (all’epoca della pubblicazione aveva ventinove anni) ma che deve ancora imparare a darsi dei limiti, a capire i propri limiti, e starci dentro. E infatti Le correzioni, prima edizione 2002 e tradotto splendidamente in italiano nello stesso anno da Einaudi, è un bellissimo romanzo, appassionante e denso. Già molto meno mi è piaciuto Libertà (2011, tradotto nel 2012, sempre da Silvia Pareschi, per Einaudi), che ho letto quest'estate e non ho neanche avuto voglia di recensire. Ma La ventisettesima città si può proprio fare a meno di leggerlo e impiegare il tempo, lunghissimo, necessario per la lettura, in qualche attività più utile e piacevole. Allora, la ventisettesima città è St. Louis, in piena decadenza e bisognosa di rilancio. Devo aggiungere che ho anche capito pochissimo di tutta la vicenda, complicata e dispersiva, e di questo devo ringraziare anche la faticosissima traduzione di Ranieri Carano, che appartiene chiaramente a quelle del tipo “adesso metto così che non mi viene, poi la riguardo”. E non l’ha mai riguardata. L’inghippo ruota tutto intorno al fatto che a capo della polizia è stata chiamata una trentacinquenne indiana, dell’India, Jammu, il motivo mi è rimasto oscuro. Costei mette su un complicatissimo intrigo (per conquistare la città? il mondo? per fare dispetto agli USA o fare contenta sua mamma? non ho capito), che passa attraverso la fusione della città con la contea, e a questo scopo viene indetto un referendum. Non vi stupirà il fatto che non ho ben capito il motivo, ma si tratta di spostamenti di industrie, di speculazione edilizia, denaro insomma. Jammu si è portata dietro uno stuolo di indiani, tra cui i suoi fedelissimi sono una prostituta eroinomane, che lei foraggia e dirige per manipolare dirigenti, e un ex terrorista socialista marxista sikh bisex violento e sadomaso ma anche pieno di sentimento, fumatore accanito di sigarette ai chiodi di garofano che in India non esistono, essendo tipicamente indonesiane. Altro personaggio importante è Martin Probst, integerrimo manager che non ho capito bene perché è preso di mira, lui e sua moglie, mentre all’inizio sembrava che fosse sua figlia quella caduta nella rete di Jammu ma poi invece no. Va be’, basta. I personaggi sono costruiti affastellandoci sopra di tutto ma non risultano affatto definiti, rimangono corposi ectoplasmi capaci di giravolte ingiustificate e nemmeno sorprendenti. Succede di tutto; qua e là ci sono momenti di respiro in cui sembra di trovarsi in un romanzo normale, ma dura poco. La parte finale è un climax classico, tutto si risolve in una notte speciale ma perché si risolva così e non al contrario non chiedetemelo, le azioni dei personaggi mi sono rimaste oscure fino alla fine. Come ha detto quel tale a Mozart? Troppe parole, Herr Franzen. Ci sarebbe voluta un’accetta molto severa per sfrondare questo atto di presunzione che è La ventisettesima città. Con seicentosessanta pagine a disposizione, si potevano fare almeno tre romanzi da duecentoventi, e guadagnarci che comunque vendendole sfuse costano di più. Ultima nota di demerito: io l’ho letto in formato ebook, sciattissimo, con molti a capo saltati che rendevano ancora più difficile seguire dialoghi e azione. Pollice verso, non ci siamo. Per fortuna che ho letto per primo Le correzioni, che dimostra che il ragazzo aveva talento e con lo studio, l’esercizio e la disciplina sa fare cose egregie.

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