Il quattordici gennaio viene ritrovato il corpo senza vita di una ragazza, Alessia Doriani. A occuparsi del caso è Mara Tusciano, vice questore di Messina. Quando viene raggiunta dalla chiamata, Mara si trova con Riccardo (Riccardo Lanzella, ispettore e amante di lei). Mara accorre e trova il corpo di Alessia ormai senza vita. Il collo della ragazza presenta dei chiari segni di strangolamento, e bastano pochi rilievi per trovare sulla pelle della vittima, incisi, due piccoli segni paralleli. Due serpenti.
Questo è l’abbrivio di Un’amara verità, secondo romanzo di Mario Falcone, pubblicato dalla romana Atmosphere Libri.
Falcone, sceneggiatore (sue le firme di numerose fiction, tra cui Ferrari, La guerra è finita, De Gasperi, Einstein, Anita Garibaldi…) ha esordito per i tipi di Fazi nel 2008 con Alba nera. Entrambi i romanzi sono ambientati a Messina, luogo in cui Falcone è nato e ha vissuto per molti anni prima di trasferirsi a Roma, dove attualmente risiede e lavora.
Un’amara verità è certo un noir, con venature plumbee e inaspettate, come plumbeo è il cielo di Messina, una Messina che non potrebbe essere più lontana dalla tipizzazione cui ci ha purtroppo abituato una certa narrativa scritta da altri siciliani.
E a dimostrare come Falcone impieghi poche parole per discostarsi dai luoghi comuni, non solo narrativi e di genere, basti pensare che per una buona metà del romanzo il cielo è scuro, e non fa che piovere. Si tratta di una pioggia che non lava, né nutre. Si tratta di una pioggia che sporca, intorbida e confonde.
La scacchiera costruita da Falcone ha molte pedine, ognuna con la propria fisionomia. C’è Mara Tusciano, figlia di ricchi industriali, che oblitera le aspettative parentali per buttarsi corpo e cuore nella professione investigativa, c’è poi suo marito, Giulio Volpati, conosciuto in giovane età e poi sposato, padre dei due figli di Mara. E c’è Riccardo Lanzella, come si accennava, di origini romane, amante di Mara.
Falcone è uno sceneggiatore di lungo corso, è bene ripeterlo, e se c’è qualcosa che sa fare, è disporre le sue pedine su una scacchiera di cui delinea i contorni, in modo netto ma affatto inequivocabile, fin dalle primissime battute, come dimostra l’incipit dell’intera, e appassionatamente lunga, narrazione:
Venerdì 14 gennaio.
La villetta è a pochi passi dal mare.
Due piani, un’idea mal riuscita di giardino. Gli inverni trascorsi e la salsedine hanno rosicchiato gli infissi e scrostato parte dell’intonaco, disegnando larghe chiazze che fanno apparire i muri esterni come colpiti da un fastidioso eczema. Tutta la casa, in effetti, ha l’aspetto di una gigantesca verruca, incassata tra uno squallido palazzetto color gambero e una villa disabitata, appartenuta a un politico caduto in disgrazia
E bisogna fare attenzione alle descrizioni che costellano questa storia, perché l’ambiente che abitano e vivono i personaggi di questo noir non è che un riflesso dei loro cuori. Falcone si diverte a narrare, ma il suo è un gioco tremendamente serio. Dopo le prime domande di Mara e dei suoi collaboratori, viene tolto un primo velo dalla vita apparentemente immacolata della giovane Doriani, e il lettore viene a sapere che il suo conto ha troppo denaro, che forse Alessia ha una seconda vita, più nascosta, profonda e più nera di quanto non sembrava nelle prime battute.
Alle spalle di Alessia, alle spalle del suo assassino, il vice questore Mara trova un termitaio di malaffare, scambi di favori oltre la soglia della legalità (e della moralità), partite di cocaina e metanfetamine… Prova quindi a illuminare la zona grigia che connette, e separa, le parti più note della vita di Alessia con quelle più sconosciute.
Mara Tusciano è una donna dalle molte sfaccettature: dura e determinata nel lavoro, affettuosa con i figli, severa con il marito Giulio, passionale e inaspettatamente femminile con Riccardo. La donna si ritrova tra le mani, e del tutto casualmente, un caso che la costringerà a scendere a patti con sé stessa; si renderà conto che risolvere il complesso puzzle della morte di Alessia (le cui indagini la porteranno fino in Romania) si tradurrà poco per volta, ma inesorabilmente, in una ricerca tra le pareti del proprio passato.
Falcone riesce a tenere ben saldi i binari della narrazione per oltre quattrocento pagine senza che per un solo momento la narrazione perda tensione o, peggio ancora, credibilità. Lo Stretto di Messina, che in diverse occasioni campeggia come sfondo, diventa il simbolo di un colloquio che Mara dovrà affrontare, tra sé e sé, fino all’ultima pagina, per venire a patti con il proprio passato, e riuscire a riprendere la propria vita.
Ma ognuno dei personaggi di Un’amara verità ha molto di sé da raccontare. E non tutte le azioni che compie, non tutti i pensieri che ha nella testa corrispondono fino in fondo all’idea che cerca di dare al lettore.
In esergo alla narrazione è riportata una frase di Balzac che recita: “Dietro a ogni grande ricchezza c’è un crimine”. Quello che Falcone cerca di dimostrare in Un’amara verità non è solo la natura spesso criminosa delle fortune di molti uomini; piuttosto, sembra che a Falcone interessi raccontare anche, e soprattutto, le miserie che ognuno di noi cerca di nascondere a se stesso.