Roma 10.30 di mattina, sabato.
Siamo in una stagione di mezzo, con la primavera che è giunta e presiede la città non curandosi del suo arrivo nel calendario, ma con dei leggeri spasmi febbrili, quel tiepido freddo notturno che non ti lascia la sensazione netta di aver chiuso la porta ai mesi d’inverno.
Luce potente, calda, che sbatte sui muri con la stessa consuetudine con cui si sono incontrati le prime volte, nel corso delle nozze del tempo.
Mi muovo dentro il mio nido domestico con ritmi quotidiani come ogni fine settimana e godo le carezze di quella luce, di come si insidia tra le mie cose.
È una mattinata speciale, la mia. Aspetto Carlo. Pranziamo insieme.
La piazzetta di Campo De Fiori è a 450.75 metri dal mio nido, perché definirlo appartamento è contro ogni logica edilizia, ma non mi curo degli spazi ridotti, mi curo di come loro possano “narrare” di me.
Mi basta la mia cucina, quei due fornelli e il tavolo di legno di rovere, il dono del falegname del rione Monti, il mio armadio sospeso e il letto di ottone antico, il divano vintage, i miei poster, e tutto il resto.
Infilo il cappotto, gli occhiali, scendo di corsa, cammino, mi attendono i miei guardiani giornalieri, i detentori dei banchetti della frutta, del pesce, del pane della verdura, i miei complici perfetti, che conoscono tutti i miei capricci e le mie invettive, le mie richieste difficili, le mie raccomandazioni.
Conoscono quanto la cucina sia una forma alta di amore, per come la vivo e la pratico, e conoscono quanta passione è necessaria per creare e stupire, per giocare, mangiare, sporcarsi, amare, amarsi.
Cucina e amore, perché è così che si comincia.
Io e Carlo. Quella volta in cui mi disse: “restiamo a casa, regalami i tuoi gesti, regalami una giornata senza pretese”, e non mi lasciò il tempo di raggiungere lo stereo che aveva già afferrato il disco di Vinicio e selezionato il brano, una delle tante canzoni per ricordarci con costanza quello che succede dentro le nostre vite ormai intrecciate.
Il tagliere, il coltello con lama A3, le melanzane, mi sposto veloce, accendo il fuoco, pentole, padella antiaderente, lama e1, cipolle rosse, lacrime dolcissime, inizio adagio a tagliare.
Ogni fetta vuol dire un sorriso, perché ogni attimo e tocco forte del coltello, a contatto con il piano ruvido, è un ricordo.
Prima fetta: sento l’estate tra le dita, l’aria calda e ingombrante, il fresco del mare, la nostra passeggiata notturna ad Otranto, io che perdo il sandalo quasi a ogni passo, rido, ridi, mi prendi, sono tua.
Seconda fetta, altro tocco, altro rumore: sento un’auto lontana, una corsa, un accordo che odora di olio in perdita e motore fumante, quella volta in cui avevi riparato la vecchia 126 blu metallizzata di tuo nonno, la voglia e la grinta di mesi di lavoro, la fatica non accusata, i tuoi occhi gonfi di felicità, il tuo entusiasmo a cui non sono tuttora abituata, invadente, bellissimo.
Mi avevi presa in braccio e mi avevi detto, “scappiamo con questa bomba?”
In mezzo ai nostri ulivi, a tutto l’acre odore di vendemmia, sporcati dalla terra rossa e da una luna guardona, i nostri fiati troppo vicini, le ossa incrociate e i cuori a guardarsi, non ricordo più le stelle perché erano state spente dai tuoi baci.
Terza, quarta, quinta fetta, tutte le bottiglie di vino consumate insieme e che ci osservano dalla mensola di fronte le mie spalle, tutti i biglietti dei cinema d’Europa conservati in quelle scatole ingombranti che tu detesti e che sono sparse per terra, ogni singola foto scattata e rinchiusa nelle pile dei rispettivi computer rotti, vivi, semi dormienti.
Le melanzane sono pronte, lanciate nella padella con l’olio che frigge e consuma la cipolla, quel suono…shhh, quel suono che si perde nell’odore di basilico fresco, di taleggio, di pomodori dell’agropontino, in questa festa di colori e pensieri che solo Tu puoi far risalire dall’anima a tutti i miei restanti sensi accesi.
Fisicamente concentrata, ma con la mente che viaggia, ripiomba, incespica in sequenze che hanno la consistenza di pagine ingiallite di romanzi vecchi e preziosissimi mentre altre assumono le vesti di carta fresca di stampa dal tatto pungente.
Vedo le tue smorfie, i tuoi tic, il modo in cui muovi le mani quando avverti nervosismo, la meravigliosa musica del tuo silenzio quando mi guardi senza farti vedere, la tua risata smorzata quando fingi di dirmi qualcosa di serio, i tuoi Persol del1984, in continuo giro turistico dentro la mia borsa, la tua vanità e il tuo narcisismo, la tua dolcezza ipocalorica, i tuoi occhi petrolio.
Il mestolo, i vorticosi giri nel sugo, il mio perenne bruciarmi nell’atto in cui assaggio la pasta… accendo una sigaretta e il fumo che tiro via fa parte di quel gioco di cui non saprei fare a meno, mentre inizio a muovere il tallone a ritmo sul pavimento in cotto, avanzo verso lo stereo, con le idee tutte chiare fino a qui.
Cerco lei, quella che per me, per noi, è la colonna sonora dell’emozione in fieri che viviamo da anni, non ricordo più se anni o giorni, o solo attimi o solo sogni, comunque resta lei, ed è sempre come ascoltarla per la prima volta, da di di da da di da, via via, da di di di da, vieni via con me.
“Entra in questo amore buio, non perderti per niente al mondo, via via via, It’s wonderfull, good luck my baby”. Canto, sottovoce, a volte alzo il tiro, apro il vino, non perderti per niente al mondo, bevo e controllo la cottura del sugo, lo spettacolo d’arte varia, trito il basilico, di una innamorata di te.
Non sento la chiave girare decisa nella serratura, non sento il fruscio delle rose che poco dopo avrei visto posate sul tavolo, non sento i passi, l’odore di colonia, la sua tosse rugosa.
It’s wonderfull, ora sento il suo braccio vigoroso che mi tira da dietro verso di sè , Carlo, il polsino della sua camicia a poca distanza dal mio seno, Carlo, vieni via con me, non perderti per niente al mondo.
Vieni via con me, voglio tenerti, voglio che tu ti perda al mio fianco, che nessuna incomprensione, tempesta, distacco, accadimento, tumulto emotivo possa sganciare la presa, possa rompere questo ponte tra le nostre vite, possa farci del male, possa tenerti lontano da me.
Vieni via con me, e che ogni ricordo che maciniamo insieme. ogni cronaca che brucia tra le ore che spendo avvolta nel tuo abbraccio sia per sempre, anche se sempre non esiste, anche se il sugo si sta bruciando, anche se la pasta sarà scotta, anche se il basilico andrà a male e ho finito le melanzane, non importa, non adesso.
Ora vieni via con me, perché in un amore senza pretese l’unica aspettativa che possiedo è averti mio.
It’s Wonderfull…
A Veronica e Peppe e alla loro canzone d’amore