C’è chi andando all’estero si sente a casa, come il Marito per esempio, che è appena tornato dalla Danimarca, dove è nato e dove ha passato molte estati con i nonni.
E c’è chi invece riesce a sentirsi all’estero anche a casa propria. Come ALicE.
L’altra mattina, approfittando appunto dell’assenza di parte della famiglia, decido di fare la turista nella mia città e in un paio di ore libere della mattina mi avvio verso il nuovo Mercato Esquilino.
Piazza Vittorio Emanuele è una delle più belle piazze di Roma. Tra San Giovanni e Santa Maria Maggiore, a due passi dalla Stazione Termini, è una grossa piazza quadrata, tutta circondata da portici, dove fino a qualche decennio fa c’erano alcuni dei negozi storici della città. Al centro della piazza c’è sempre stato un mercato rionale, con banchi di ogni tipo: frutta e verdura, fiori, alimentari, macellerie, pescherie e pizzicagnoli (così si chiamano qui da noi le salsamenterie). La piazza nel frattempo, anche grazie alle ondate immigratorie, è stata abbandonata al degrado. Moltissimi dei negozi sono stati acquisiti da cinesi che ne hanno fatto dei tristi bazar di straccetti e chincaglierie, e il quartiere è diventato una piccola Chinatown. Come a Via Paolo Sarpi a Milano. Con la differenza che piazza Vittorio era, e potrebbe ancora essere, un vero gioiello. Il comitato degli abitanti sono anni che sta cercando di sollevarne le sorti, e dopo varie vicissitudini politiche e burocratiche il mercato è stato finalmente spostato al coperto in una grande area limitrofa tra via Turati, via Mamiani e Via Principe Amedeo. All’interno della piazza, al posto del mercato, ora c’è un giardinetto con delle giostrine e un piccolo parco giochi. Frequentato perlopiù da extracomunitari.
Fatta questa precisazione storico-topografica,l’obiettivo del mio giro era il nuovo mercato Esquilino. Mi ci sono avventurata coi mezzi, senza nemmeno sapere dove fosse l’ingresso, anche perché su internet c’era un indirizzo sbagliato.
Devo dire che è stata un’esperienza! Appena entrata ho capito subito che non ero a Roma. Io adoro i mercati, proprio come stile di vita: lì ho la sensazione di trovare prodotti freschi, mi piace il vociare dei fruttivendoli, amo i colori dei prodotti esposti. Quando viaggio non c’è posto del quale non n’è visiti uno. Non dimenticherò mai quello di Tolosa, che nel piano superiore aveva una serie di minuscoli ristoranti, uno diverso dall’altro, che si fregiavano di usare i prodotti freschi del mercato sottostante. Così come sono stata a Machanè Yehuda a Gerusalemme, che mi incanta ogni volta e ovviamente allo shuk del Cairo. Fu li che vidi una delle cose più schifose della mia vita: in un banco-tintoria un vecchietto sdentato era addetto alla stiratura dei vestiti. Vedo con orrore che si porta alla bocca un contenitore pieno di acqua sporca… pensavo lo bevesse. Anzi, a posteriori, avrei dovuto sperare che lo facesse! Invece, dopo essersi riempito la bocca con quel “liquido” torbido comincia a spruzzarlo attraverso le labbra sul vestito da stirare per inumidirlo!!!
in ogni caso, ovunque siano, credo che i mercati rappresentino un po’ l’anima della città, o almeno quella del suo quotidiano.
Al mercato Esquilino, dicevo, sembrava di stare all’estero. Non tanto per la nazionalità dei gestori dei banchi: a quella ormai siamo abituati. Gente di ogni dove che vociava e chiamava i passanti per attirarli verso il proprio negozio: indiani, arabi, sudamericani, romeni, cinesi… un trionfo di colori. Ma soprattutto un trionfo di colori, odori e sapori erano le merci esposte: dalla frutta e la verdura, alcune mai viste, rigorosamente importate dall’estero. Addirittura le pescherie esibivano orgogliose dei cartelli con su scritto “pesci asiatici” (e noi, scemi, che andiamo ancora a cercare quelli di Anzio!). Le macellerie, tutte rigorosamente halal (cioè con carne macellata secondo la religione islamica). Spezie, e scatolame di tutto il mondo.
Certamente ogni negoziante deve fare i conti con la domanda della clientela. Però mi fa sorridere… io che cerco sempre frutta e verdura a km 0! La clientela è variegata: certamente era pieno di stranieri contenti di sentirsi a casa, almeno dal punto di vista alimentare; italiani dall’aspetto radical chic, che si sentono politicamente corretti a far la spesa insieme agli stranieri; e vecchiette, antiche abitanti del quartiere, che del tutto a loro agio continuano ad aggirarsi tra i banchi alla ricerca di zucchine romanesche o di cicoria di campo. E di sicuro le troveranno senza fatica! Di fronte al mercato vero e proprio c’è un’altra sezione, quella di abbigliamento, scarpe e tessuti. Nulla di che, poco diverso dalle bancarelle di Porta Portese: straccetti e scarpe di plastica cinesi, e sgargianti tessuti poco confacenti al gusto italiano. Al contrario del reparto ortofrutta, decisamente poco frequentata.
Una fortuna non avere senso di orientamento, perché nel cercare l’ingresso dal quale ero entrata (il mercato è talmente grande che ce ne sono molti) ho sbagliato più volte la strada. Tentando e ritentando però sono stata premiata. Mi sono trovata davanti una bella e inaspettata sorpresa: nel cortile del mercato l’atmosfera era immediatamente cambiata: tantissimi ragazzi (italiani) chi a chiacchierare, chi a fumare, chi a studiare: si trattava del cortile comune tra il nuovo mercato e l’università La Sapienza. Per la precisione la facoltà di lingue orientali (forse non a caso!). Comunque una ciliegina sulla torta: la sintesi dell’integrazione e della convivenza pacifica tra culture diverse!
Non essendo però partita da casa attrezzata per fare le fotografie, ci sono tornata apposta per rubare qualche scatto e condividerlo con voi. Rubare però non è la parola giusta: infatti per non offendere la suscettibilità dei negozianti prima ho fatto la spesa nei loro banchi. Poi ho chiesto il permesso di scattare qualche foto. Il tutto mi è costato ben 24 €! L’unico banco che non mi ha permesso di fare fotografie aveva un simpaticissimo nome “Antonio il pomodoraro” ma un antipaticissimo carattere: perchè dopo aver indagato sul motivo per il quale avrei voluto fotografare il loro banco, mi ha negato il permesso di farlo. E questo nonostante sul finale mi sia addirittura giocata la carta del: “Peccato, sarebbe stata tutta pubblicità per voi”!