Ha senso parlare di continuità o di discontinuità? Ecco come leggere il primo anno di pontificato di Papa Francesco
È trascorso un anno dall’elezione al soglio pontificio di Francesco, quel papa “preso quasi alla fine del mondo”, come lui stesso si è definito nel suo primo discorso ufficiale.
Soprattutto nei primi mesi di pontificato, è difficile – se non impossibile – scampare al confronto con un predecessore. Continuità o discontinuità? Questa è la domanda ricorrente, declinata in tutti i contesti e facendo uso della gamma completa dei registri verbali, sino a giungere al più volgare: “preferisci questo o quello di prima?” Preferisci questo, bene. Allora la macchina mediatica in breve tempo si dimentica di “quello di prima” per focalizzarsi su “questo”. Nel caso di Papa Francesco, dotato di un grande carisma riconosciutogli universalmente e di una eccezionale spontaneità, che costituisce un ingrediente fondamentale per qualsiasi comunicazione efficace, il gioco viene da sé.
Il pontificato francescano è all’insegna di uno stile semplice e familiare che, se proprio dobbiamo azzardare un paragone, ci ricorda vagamente quello del “papa buono” Giovanni XXIII. “Buonasera”, “buon pranzo”. Guardandolo più da vicino, la peculiarità dell’attuale vescovo di Roma sono le decisioni assunte spontaneamente, in taluni casi, sul momento. I cambiamenti repentini di programma pare che abbiano creato non poche difficoltà persino all’entourage del Sommo Pontefice, compreso il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie Mons. Guido Marini. Questi ha iniziato a trovarsi in imbarazzo a partire dal momento della vestizione pontificale quando, prima di affacciarsi per la prima volta dal balcone su Piazza San Pietro, Bergoglio non volle indossare la tradizionale mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d’oro.
A tal proposito, vanno segnalate anche le voci critiche di quanti osservano che i ricchi paramenti – sovente si tratta di vere e proprie opere d’arte – che Papa Francesco non intende portare, così come lo sfarzoso appartamento pontificio parimenti rifiutato, sarebbe meglio utilizzarli, anziché lasciarli ammuffire. Al momento non pare essere intenzione del Vaticano venderli. Nel mentre, continuano ad andare a ruba i libri di (e su) Papa Francesco – sia quelli più recenti, sia quelli di quando era ancora cardinale, oggi ristampati con gran cigolio di torchi tipografici – e addirittura album di figurine, poster, calendari e settimanali dal titolo surreale come “Il mio Papa”, per citarne uno.
“Principalmente è un gran pubblicitario”, commenta un uomo della gendarmeria vaticana. Sebbene sia sotto gli occhi di tutti che nell’ultimo anno la Chiesa Cattolica si è rafforzata con un ritorno d’immagine significativamente positivo, come essa auspicava, sarebbe riduttivo fermarsi a ciò; lo stesso Papa Francesco sembra non gradire molto il culto della sua personalità. A conferma di ciò, a luglio egli diede ordine di rimuovere immediatamente una statua che lo raffigurava, opera dell’architetto Fernando Pugliese, collocata nei giardini della cattedrale di Buenos Aires. Inoltre, molto più recentemente, nella sua ultima intervista apparsa sul Corriere della Sera il Vescovo di Roma ha detto che non gli piace “una certa mitologia di Papa Francesco”, che include la leggenda secondo cui uscirebbe “di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano”. Per essere ancora più esplicito, ha affermato che “dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo”.
Infatti, una delle novità di questo pontefice sono anche le telefonate a privati cittadini e le interviste rilasciate non solo a periodici religiosi come il quindicinale religioso dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, ma anche a quotidiani nazionali, al quale si spinge a rivelare gusti culturali ed esperienze personali. Una novità che ha contagiato anche il pontefice emerito Benedetto XVI, che a settembre ha voluto rispondere pubblicamente e con un’azzeccata vis polemica a quel “Caro Papa, ti scrivo” indirizzatogli dal matematico Piergiorgio Odifreddi.È però dal tali interviste e dalla sovraesposizione mediatica che si originano i principali fraintendimenti, che generano presso quella che si suole chiamare “opinione pubblica” degli scambi di opinione truccati in partenza, che vengono poi, a loro volta, amplificati nuovamente dai mezzi di comunicazione e, come accade spesso, si entra in un circolo perverso.
Chi si illudeva di una immediata abolizione dello IOR o dell’intero Vaticano ovviamente è rimasto deluso. Ma questo non significa neppure che non vi siano stati segni di cambiamento, anche perché i cambiamenti di vertice e organizzativi nella curia romana, già iniziati con il precedente pontefice, si fanno di giorno in giorno sempre più significativi. Altrettanto scontenti sono rimasti quelli che, anziché tanti discorsi sulla giustizia sociale, avrebbero auspicato da Papa Francesco una difesa a spada tratta dei cosiddetti valori non negoziabili e dei temi bioetici. “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta”, dice Francesco. Per non parlare delle strumentalizzazioni sulla visita a Lampedusa o sul “chi sono io per giudicare” riguardo le persone omosessuali. Può essere giovevole ricordare che il Vangelo è sempre uno, anche se le voci narranti devono essere minimo quattro e dunque ciascun cristiano è chiamato a diffonderlo con la propria sensibilità e a seconda dei contesti.
Ad essere schematici, se nella fascia popolare tendono a prevalere le forme di culto della personalità, nel “ceto medio semicolto” gli atteggiamenti generalmente si possono suddividere a “destra” tra il tradizionalismo “soft”, che fa finta di non aver recepito il cambio di atteggiamento e il tradizionalismo “hard” che invece vi si oppone perché lo ha notato, e a “sinistra” tra chi mantiene una posizione irriducibilmente anticlericale (ogni tanto rispolvera le vecchie accuse, già smentite, di una collusione di Bergoglio con il regime militare di Videla) e il progressismo entusiasta, in molti casi da parte di “atei devoti de sinistra”, speculari ai teocon del decennio scorso. Se prima c’era Pera, ora c’è Scalfari.
Comunque sia, anche per evitare i fraintendimenti dei “discontinuisti”, uno dei primi segni di questo pontificato è stata la firma della lettera enciclica Lumen Fidei, che risente molto della stesura iniziale di Benedetto XVI. Per notare qualche novità, invece, bastano poche righe della sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, o qualche discorso, preferibilmente a braccio, oppure anche il solo gesto di recarsi a Lampedusa dopo l’ennesima tragica strage di migranti, per notare lo stile inconfondibile di Papa Francesco. Lo sforzo in favore della Siria, coniugando l’impegno spirituale di una giornata di digiuno con quello diplomatico, che ha compreso una lettera indirizzata al presidente russo Vladimir Putin in occasione del G20, ha contribuito ad evitare un conflitto di più ampie dimensioni e, seppur parzialmente, è riuscito dove altri – Giovanni Paolo II compreso – avevano fallito.
Senza dubbio molte altre sono state le occasioni di visibilità mondiale del Vescovo di Roma; una su tutte, la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio De Janeiro, che è stato un ritorno non solo in America Latina ma, più di ogni altra cosa, ad Aparecida, dove nel maggio 2007 si svolse la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano (CELAM) che elaborò uno storico documento che continua ad essere il programma di lavoro per ogni singolo passo che sta compiendo il Santo Padre. Ritengo indispensabile questa mappa per comprendere, anche in anticipo, dove si dirigerà Papa Francesco; lì è possibile trovare il riferimento, ad esempio, a quelle “periferie più profonde dell’esistenza” (periferias más hondas de la existencia) cui continuamente egli si rivolge.
Per tornare alla diatriba tra i “continuisti” e i “discontinuisti” – per non utilizzare l’usuale dicotomia conservatori/progressisti, che ha ancora meno senso di esistere – ad osservarla con attenzione essa ne nasconde una più pregnante, e ben più antica, tra rigoristi e lassisti, evocata nei giorni scorsi. In altre occasioni Papa Francesco aveva parlato di “proposta pelagiana” e di “proposta gnostica”, criticandole duramente entrambe; non c’è qui lo spazio per valutare le singole sfumature ma, in un certo senso, si tratta di una contrapposizione analoga. Su questi punti continua a consumarsi l’equivoco redivivo tra coloro che propendono per un’applicazione farisaica e legalistica delle norme – siano esse mosaiche o catechistiche, poco importa – e coloro che invece si oppongono alla legge persino nella sua stessa essenza. Tuttavia l’autentico messaggio evangelico, e della tradizione paolina, è quello di un superamento della legge, presa come riferimento per gli uni e per gli altri, all’insegna della misericordia, l’unica in grado di farsi carico “della persona che incontra”.Ed è appunto su questa apertura alla misericordia che pone costantemente l’accento Papa Francesco. Misericordia è la parola che ha voluto assumere nel suo motto nella forma del gerundio latino “miserando”, volutamente non traducibile in italiano né in spagnolo. Egli ritiene che le stesse istituzioni vaticane possono avere un senso nella misura in cui esse siano orientate alla carità e alla misericordia; diversamente, divengono superflue. Certamente sempre in quest’ottica si possono comprendere anche le dichiarazioni che vengono descritte come controverse. Il messaggio essenziale è che lo sguardo del cristiano non dovrebbe mai essere rivolto alla fattispecie astratta, ma dovrebbe guardare sempre, concretamente, al singolo uomo. Per chi ha familiarità con l’ambiente ecclesiastico, la figura più vicina al Vescovo di Roma, forse anche grazie alla sua formazione nell’ordine dei gesuiti, è quella del confessore, che infatti in svariate occasioni ha voluto valorizzare.
La Chiesa è così concepita come un “ospedale da campo” che deve premurarsi per accogliere e curare “ogni uomo ferito dal peccato”, senza selezioni all’ingresso. Ciò si può avere solamente prestando una grande “attenzione alle situazioni concrete”. Di fronte alle sfide della mondanità, questa è la risposta di Francesco, il quale fa capire che non intende “cambiare la dottrina”, ma vuole “andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare”. Perciò diviene facilmente intuibile quale sarà l’impostazione che avrà il sinodo straordinario sulla famiglia previsto per ottobre, i cui lavori preparatori hanno coinvolto – per la prima volta – tutte le diocesi del mondo, che nei mesi scorsi hanno potuto dire la loro su molte questioni delicate, dalla morale sessuale alla comunione ai divorziati risposati. Riguardo quest’ultimo punto, ne abbiamo già avuto un assaggio al Concistoro di febbraio con la relazione introduttiva del Cardinale Kasper che, invocando un “cambiamento di paradigma”, ha ricevuto le critiche di molti, ma è stato particolarmente apprezzato dal Sommo Pontefice.
In conclusione, nonostante i fraintendimenti si sprechino e ad essi l’attuale pontefice stia tentando di porre rimedio, in realtà, come avevamo intuito in sintonia con il Cardinale Dolan, se vi è un cambiamento, esso non è tanto nel contenuto, quanto in quello che si era definito “atteggiamento di apertura”. A un anno di distanza, il cammino di Papa Francesco pare mostrarci come sia possibile dare un volto a queste parole.