Il rapporto annuale della Guardia di Finanza fornisce, attraverso i dati delle proprie inchieste che si aggiungono alle relazioni della Corte dei Conti e alle statistiche di Banca d'Italia e Istat, un'ulteriore conferma che l'Italia è sommersa da un mare di illegalità: un appalto su tre di quelli su cui si è indagato è risultato illegale. E' sufficiente del resto la lettura della cronaca quotidiana delle inchieste giudiziarie - Expo, Mose, Tav, Grandi Opere, Mafia Capitale e via discorrendo fino al più piccolo dei comuni - per avere un'idea esaustiva della questione. Esiste, a dire il vero, anche chi considera mafie, corruzione ed evasione fiscale un falso problema, un fatto fisiologico comune a tutti i Paesi del mondo che viene usato come specchietto per le allodole per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dal vero grande crimine: la rinuncia da parte dello Stato al potere di stampare moneta. Ma certamente, al di là di ogni discussione sull'euro e sulla perduta sovranità monetaria (e tanto più in tempi di spending review ogni euro rubato o sprecato nell'attività della pubblica amministrazione diventa ancora più inaccettabile), è impossibile non vedere quale cancro e quale tragico fattore di distorsione della vita politica, economica, sociale del nostro Paese, anzitutto del suo stesso tessuto civile e morale, rappresentino le centinaia di miliardi sottratti alla collettività da corruzione, evasione fiscale e dall'economia criminale e illegale in generale. Appalti inquinati dalla corruzione si traducono in lavori inutili o mai conclusi o malfatti: non possono essere considerati casuali i crolli dei viadotti verificatisi negli ultimi mesi (il viadotto Scorciavacche, la campata sulla Salerno-Reggio Calabria, il pilone dell'autostrada Palermo-Catania).
E' evidente che i governi si sono succeduti in Italia, prendendo in esame solo gli ultimi decenni fino ad arrivare al "rottamatore" Renzi, non hanno avuto alcuna reale volontà di intervenire su questo cancro che è anzi un indispensabile strumento per gran parte del ceto politico per acquisire consenso elettorale e potere. Ad ogni scandalo la risposta è sempre "faremo" e "puniremo" ma i provvedimenti si limitano al massimo a raccattare qualche "foglia di fico", come l'Alto Commissario Cantone, per far credere ai cittadini che si sta facendo qualcosa. Anche da parte dell'ala "legalitaria" dell'opinione pubblica e dello schieramento politico sarebbe ora di ammettere che leggi, procedure, controlli, authorities, inasprimento di pene (fino ad arrivare alla sacrosanta proposta di Ingroia sulla confisca dei beni dei corrotti) sono rimedi necessari ma non sufficienti. Il dato di fatto da cui partire è che laddove esiste un interesse al profitto privato la corruzione e l'illegalità sono inevitabili. Se vogliamo lavori pubblici fatti a regola d'arte e con costi equi per la collettività (non il minor prezzo possibile che è un'autentica trappola per la qualità delle opere e le condizioni dei lavoratori impiegati nelle stesse) è necessario reinternalizzarli all'interno delle strutture dello Stato e della pubblica amministrazione. Affidarli cioè obbligatoriamente (per prevenire sul nascere ogni "tentazione") a Società dello Stato o a Consorzi di Enti Locali creati ad hoc.