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Un appello contro la rottamazione delle coste sarde

Creato il 13 luglio 2014 da Albertocapece

Yacht-Club-Costa-Smeralda-Porto-Cervo.Anna Lombroso per il Simplicissimus

10 anni fa la Sardegna dimostrava che il territorio può essere protetto dalla speculazione e dall’alienazione di beni comuni, e che altrettanto poteva essere fatto altrove. Il 10 agosto del 2004 la giunta regionale di centrosinistra allargato a Rifondazione comunista, approvava un decreto che vietava qualsiasi attività edilizia all’interno di una fascia di due chilometri dal mare, bloccando un progetto criminale e perverso: quello di una città lineare, dispiegata lungo tutto il perimetro delle coste, una colata di cemento di proporzioni impressionanti, già predisposta nei particolari con piani di cementificazione già tutti approvati e ingenti capitali privati impegnati.

E in quello stesso anno veniva approvato il Piano paesaggistico regionale (Ppr), quello contro il quale la famigerata giunta Cappellacci ha armato durante il suo impero, un esercito di alleanze impure e opache e usato tutte le armi legali ma non legittime, con l’intento esplicito di azzerare le misure di tutela che avevano messo a riparo la Sardegna dagli appetiti speculativi e immobiliari. Perfino proponendo di farne un’unica zona franca, con lo scopo di garantire alle industrie già presenti sul territorio e a quelle che nell’isola volevano investire consistenti riduzioni fiscali, ma smantellando al tempo stesso buona parte dell’apparato industriale e i tradizionali settori dell’agricoltura e della pastorizia. E il terreno di scorreria più ambito era proprio quello costiero, nel quale dovevano essere “sospesi” i criteri di salvaguardia generali e complessivi, decidendo caso per caso, secondo regole discrezionali e arbitrarie, mirate a “ mediare tra la tutela delle risorse primarie del territorio e dell’ambiente e le esigenze socio-economiche”.

Chi si era illuso che la sconfitta del delfino sardo di Berlusconi mettesse fine all’empia strategia speculativa, farà meglio a stare in campana. E intanto – e non vi stupisca che il suggerimento provenga da me, da sempre poco fiduciosa nell’efficacia delle firme sia pure influenti e delle petizioni sia pure generose – se ne legga una e magari la sottoscriva, perché anche un piccolo gesto simbolico può contribuire a far vedere che non stiamo proprio tutti soggiacendo a un destino di esproprio di quello che è nostro, che abbiamo ricevuto, magari maldestramente riconosciuto e mantenuto, ma che dovremmo restituire a chi viene dopo di noi.

Alla faccia dei buoni propositi di trasparenza, efficienza, la giunta regionale insediatasi a marzo e presieduta da Pigliaru, composta da professori emeriti, tecnici con chilometrici curricula e personalità scientifiche di chiara fama (l’ambiente è delegato a un Professore ordinario in Scienze e tecnologie dei sistemi arborei e forestali, nonché componente della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile nazionale, che stavolta non si è accorta del pericolo) ha deciso di “commissariare” l’Agenzia Conservatoria delle coste della Sardegna, restituendo la gestione di oltre 6.000 ettari, fra i litorali di Alghero, Muravera, Buggerru, Castiadas, alle strutture regionali ‘’ordinarie’’, quelle stesse che 10 anni fa si erano prestate appunto a promuovere un sistema di licenze, deroghe, arbitrarietà. Con la soppressione dell’Agenzia, il timore è che migliaia di ettari di coste, ad alto valore paesaggistico e ambientale, potrebbero essere messi in vendita ai migliori offerenti, pronti ai business più spericolati, con il pretesto di attrarre investimenti esteri. E dire che in controtendenza con gli usi e le performance degli organismi regionali, la Conservatoria è un Ente non in perdita, ha dimostrato capacità, efficacia, uso oculato del suo budget, come mostrano i rapporti ufficiali sul suo funzionamento.

E sarà per quello infatti che è meglio toglierla di mezzo per allinearsi alle prestazioni e agli standard nazionali oltre che per favorire l’attrattività di quei capitali privati, troppo spesso penalizzati da lungaggini, adempimenti burocratici, addirittura leggi troppo buone e lungimiranti per essere applicate, come ripete stancamente il mantra governativo, locale e nazionale.

Eh si, si vede che tutto quello che non è già Costa Smeralda, acquistata dalla Qatar Holding, il fondo sovrano braccio finanziario della famiglia reale dell’emirato arabo, deve diventarlo, quello che non è Cala di Volpe, Pitrizza, Romazzino, Cervo Hotel, Marina e Cantiere di Porto Cervo e Pevero Golf Club, deve diventarlo. Quello che non è grand hotel, campo da golf, piscina, protetto da mura, confini invalicabili, vigilantes, mare compreso, deve diventarlo, per gli agi, il riposo, la contemplazione dei nuovi padroni del mondo, particolarmente interessati all’uso esclusivo e a profitti redditizi e facili, come moderni Alì Babà, ancora più determinati, avidi e spregiudicati dello statunitense Barrak che dopo aver investito 315 milioni di euro per diventare proprietario dei terreni e degli alberghi un tempo posseduti dall’Aga Khan, ha venduto agli arabi per 600 milioni, “frustrato” dagli ostacoli frapposti alla sua irruenza speculativa, dal quel piano paesaggistico che ancora un volta è minacciato di impudenti manomissioni, se è vero, come è vero, che si comincia sempre dagli organi di tutela e vigilanza, per passare a sbrigative cancellazioni di regole e regimi di tutela.

Una petizione poco fa, ma anche una voce flebile fa compagnia ai cittadini espropriati dai loro beni e dai loro diritti: così chi vuole può aderire all’appello, firmando online sulla piattaforma Change.org o scrivendo una mail all’indirizzo [email protected].

 


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