Magazine Psicologia

Un approccio al corpo

Da Gianfranco

“Io sono il mio corpo”, teoricamente questa frase sembra banale e universalmente accettata; ma quanti di noi possono realmente affermare di sentire il proprio corpo? E quanti poi assecondano i messaggi che esso ci invia?

Sin da piccoli siamo abituati a comunicare col mondo esteriore attraverso gesti, mimica e versi… non c’è ancora la mediazione della parola e la nostra capacità razionale non è ancora pienamente sviluppata. E le madri sanno riconoscere la comunicazione corporea dei propri neonati, sono in genere istintivamente sintonizzate sulla loro stessa lunghezza d’onda: nessuna difficoltà teorica quindi nel saper leggere il corpo altrui, almeno quello di un figlio nei primi anni della sua vita.

Attraverso il gioco, poi, il bambino interagisce col mondo che lo circonda e con i propri simili: apprende ad usare il suo corpo come tramite; correre, saltare, rotolare, sdraiarsi per terra sono momenti in cui il corpo coordina i suoi movimenti in relazione allo spazio intorno a sé. Quando cominciano le prime attività sportive si comincia a capire le potenzialità innate di ogni singolo corpo umano: il primo approccio è di solito sempre ludico. Ci avviciniamo al calcio, alla pallavolo, al nuoto perché ci piacciono, perché ci divertiamo, perché impariamo a stare con gli altri nello stesso comune intento Ma poi le cose cambiano: la nostra capacità di riconoscere il nostro corpo è di solito legata alla percezione di un suo limite; magari c’è qualcosa di noi che non ci piace, siamo troppo grassi, magri, abbiamo i brufoli, non vogliamo essere così come siamo, cominciamo a non accettare più il nostro aspetto fisico. Non siamo in grado di guardare con obbiettività forse le qualità che abbiamo; se poi continuiamo con passione uno sport, possiamo contattare le difficoltà ad adeguare il nostro corpo ai movimenti richiesti in quella particolare disciplina. Allora ci sarà chi sarà considerato più o meno dotato, più o meno portato per quello sport e subentreranno le frustrazioni o i successi secondo lepossibilità che il nostro corpo ci ha regalato e la disciplina alla quale lo sottoponiamo. Ma non sappiamo sentire il suo linguaggio, siamo bravi ad ignorare i suoi messaggi: se ci ammaliamo siamo abituati ad eliminare qualsiasi sintomo con un medicinale per poter subito riprendere la nostra quotidianità: ed il nostro corpo ci segue imperturbabile nell’assurdità del nostro modo di vivere. Non ascoltare il proprio corpo significa non sentire noi stessi, non sapersi riconoscere nella nostra esteriorità e nel nostro intimo. Il nostro corpo spesso parla per noi, capisce istintivamente e molto più rapidamente della nostra ragione: mi riferisco a quei gesti per noi inconsapevoli attraverso i quali due corpi comunicano la propria attrazione o la propria repulsione. Movimenti inconsulti molto più chiari di qualsiasi parola, carezze che si leggono col cuore, impercettibili sfioramenti limpidi come acqua cristallina. Cosa ci impedisce questa apertura? Certamente l’armatura invisibile che siamo purtroppo così bravi a cucirci addosso per proteggere le nostre fragilità; o la grande difficoltà ad assecondare i desideri del nostro corpo poiché di solito li giudichiamo inadeguati, eccessivi e spesso non convenzionali per la nostra società: da un banale esempio come quello di mettersi le dita nel naso a quello di ruttare… Così costruiamo inconsapevolmente blocchi energetici in punti strategici ( quelli che Reich ha saputo analizzare così bene..)

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