Illustrazione di una esopianeta orbitante una stella nana rossa. Crediti: David A. Aguilar (CfA)
I pianeti extrasolari simili alla Terra in orbita ravvicinata attorno a stelle di piccola taglia potrebbero presentare condizioni più favorevoli allo sviluppo e al mantenimento della vita di quanto si pensasse finora. Secondo le simulazioni condotte da due astronomi dell’Università di Washington, infatti, questi pianeti possono sviluppare campi magnetici che, come quello terrestre, formano un verio e proprio scudo contro le particelle cariche del vento stellare, radiazioni nocive per le forme vitali.
Le stelle di piccola massa sono tra le più comuni nell’universo. I pianeti in orbita attorno stelle di questo tipo sono relativamente più facili da studiare per gli astronomi, poiché occultano una più grande frazione della luce stellare quando vi transitano di fronte rispetto a una stella più massiccia. Tuttavia, siccome una simile stella “scalda meno”, affinché un pianeta si venga a trovare in zona abitabile – ovvero che riceva il calore necessario per mantenere l’acqua liquida sulla superficie – dovrà necessariamente collocarsi vicino alla stella.
Ma una tale vicinanza potrebbe causare una “attrazione fatale”, dove l’intenso influsso gravitazionale della stella potrebbe costringere il pianeta in rotazione sincrona, con lo stesso lato sempre rivolto verso la stella ospite, come fa la luna con la Terra. Inoltre si produrrebbero delle “maree” all’interno del pianeta con conseguente generazione di calore, un fenomeno conosciuto come riscaldamento mareale, responsabile – ad esempio – del ribollire della luna di Giove Io, il corpo vulcanicamente più attivo del Sistema solare.
Partendo da questi presupposti, in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Astrobiology, Peter Driscoll e Rory Barnes dell’Università di Washington si sono chiesti se i pianeti extrasolari attorno a stelle di piccola massa, oggetti su cui attualmente si concentra molto l’interesse di tanti scienziati, non si rivelino una delusione a un’analisi più approfondita, perché troppo “arrostiti” dalle forze gravitazionali mareali.
Per di più, l’opinione comune tra gli scienziati è che i pianeti bloccati dalla forze mareali in rotazione sincrona ben difficilmente possano sviluppare un campo magnetico, rimanendo completamente in balia del proprio astro tiranno. Ora, la nuova ricerca indica che questo presupposto è falso.
Secondo i risultati delle simulazioni condotte da Driscoll e Barnes, lungi dall’essere dannoso per il campo magnetico di un pianeta, il riscaldamento mareale può in realtà facilitarne il sostentamento, incrementando in tal modo la possibilità di abitabilità. Questo è dovuto al fatto che più un mantello planetario subisce riscaldamento mareale, più diventa efficiente a dissipare il calore, raffreddando di conseguenza il nucleo, il che, a sua volta, contribuisce a generare il campo magnetico.
«Ero entusiasta di vedere che il riscaldamento mareale può effettivamente salvare un pianeta, nel senso che permette il raffreddamento del nocciolo. Questo è il modo principale di formare campi magnetici», spiega Barnes.
Attraverso calcoli orbitali, i due ricercatori hanno scoperto che il processo di riscaldamento mareale risulta più estremo nei pianeti in zona abitabile attorno a stelle molto piccole, di massa inferiore a metà di quella del Sole.
Peter Driscoll
Per quanto riguarda pianeti in orbite eccentriche e non circolari attorno a stelle di piccola massa, le simulazioni rivelano che queste orbite tendono a diventare più circolari durante il periodo di riscaldamento mareale estremo. Una volta che il processo di circolarizzazione dell’orbita si è completato, il pianeta non subisce più alcun riscaldamento mareale.
«Questi risultati preliminari sono promettenti, ma ancora non sappiamo come risulterebbero per un pianeta come Venere, dove il lento raffreddamento planetario sta ancora ostacolando la generazione del campo magnetico», commenta Driscoll. «Tra qualche tempo potremmo riuscire ad osservare direttamente i campi magnetici dei pianeti extrasolari, quindi ci aspettiamo un crescente interesse in questo campo in futuro».
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini