Un biancore lontano è il titolo dell’opera prima di Adriana Gloria Marigo, edito nel 2009 da Lietocolle. Un libro che sta tutto nel titolo scelto dall’autrice perché il bianco e la sua chiarità percorrono, e insieme scaturiscono, dai versi di questa raccolta.
Bambina, ha lasciato la pianura veneta per le Prealpi Varesine, il lago Maggiore di Luino, città delle prime letture e della nostalgia. Gli studi umanistici l’hanno condotta prima all’insegnamento, poi ad occuparsi di eventi di danza moderna e contemporanea, seguendo un talento versatile, sensibile all’arte, alla bellezza che trova dimora pure “dove l’ombra si gioca della luce”. Un biancore lontano è la sua opera prima.
L’ALCHIMIA DI AFRODITE
Per l’alchimia di Afrodite, hanno vita
nel verso l’altro alchemico, Apollo
- delle Muse compagno -
e il “nato due volte” Dioniso.
Essi stessi musica
e poesia, e natura e bellezza,
sempre presenti al raggio verde
del vedere umano.
***
Il tempo ha svolto un lavoro
intenso: ha tracciato
su me percorsi di colore, paesaggi
sentimenti, in un movimento
sinuoso senza inizio senza fine.
Vivo ora una lentezza
nelle cose, preordinata dal mio Tempo, la sua forma
in perenne gestazione.
Ritrovo il verde, e la luce del giorno
nella notte dei Poeti, nella Musa,
negli elementi che vagano
oltre la notte nostra, chiusi
entro quella carezza che tengo
appoggiata sulla pelle, come seta.
***
Semplicità è un’aria speciale – pensiero
in cerca di rarefazione – grazia che ripudia
la parola eccedente, che desidera
l’osso di seppia del dire
il taglio a brillante del senso.
LA PAROLA DELLA NOTTE
Scrivere di notte è un mondo altro
di parola dallo scrivere di giorno.
I pensieri sono globi rotanti, si muovono
liberi nel luogo che dilata. Senza sentire,
Pensiero e Tempo viaggiano nel solo andare.
La luce del giorno distrae,
distrae il rumore. L’inchiostro usa
il confronto. Soppesa. Sacrifica
spontaneità e intuizione alla grandeur
presunta della mente. Sola,
la parola della notte
lascia sparsi a terra i frammenti del mattino
pronti a rifluire nel dolore d’ogni segno.
OGGI CHE UNA LUCE
Per te una ghirlanda
di carezze, per il bene che sei
in me, oggi che una luce
di zinnia si leva dalla torba.
Il cielo di settembre è lontano,
del suo umore altalenante non m’importa.
Mi basta il cesto bruno della terra, colmo
di colori densi, dei tanti frutti
che hanno colto eternamente la gioia
dell’estate.
RECIPROCITÀ DEI FEUDI
Mi hai invitato e concesso
di percorrere le tue terre; ho accettato
e lasciato il passo entro i miei possedimenti,
reciprocità dei feudi.
Cammino solitaria. Cammini, solitario.
Solo apparenza.
Portiamo in noi le scelte, pesi
contropesi, bilance. E una luce
che misuriamo.
Vicende tengono te nelle radici;
me, nelle fronde. Il tronco, all’apice
dei rami, punto d’incontro: da qui noi partiamo
per il viaggio aereo di Psiche.
Del nostro camminare non comune
decifriamo il sorriso “sensibile ai richiami
che hanno separato i continenti,
al lontano che inizia dalle linee della mano”.
Una tale finezza decide di non farci viandanti
esploratori, incursori. Ci onora
l’essere signori abituati al feudo, appartenenza
di cui lasciamo, riconoscendo il medesimo rango,
l’accesso dell’ospite.
SPECCHI USTORI
Ci siamo donati specchi ustori.
Troveremo l’inclinazione perfetta,
il gradiente preciso, al fiammeggiare
sacro della luce che si spericola
capitombola dal colle entro le fronde
sopra un metallo di luna, forgiato
in fatica di fuoco.
Incendio senza cenere, transito divino
nel raggio che trasforma.
Per l’alchimia di Afrodite, hanno vita
nel verso l’altro alchemico, Apollo
- delle Muse compagno -
e il “nato due volte” Dioniso.
Essi stessi musica
e poesia, e natura e bellezza,
sempre presenti al raggio verde
del vedere umano.
***
Il tempo ha svolto un lavoro
intenso: ha tracciato
su me percorsi di colore, paesaggi
sentimenti, in un movimento
sinuoso senza inizio senza fine.
Vivo ora una lentezza
nelle cose, preordinata dal mio Tempo, la sua forma
in perenne gestazione.
Ritrovo il verde, e la luce del giorno
nella notte dei Poeti, nella Musa,
negli elementi che vagano
oltre la notte nostra, chiusi
entro quella carezza che tengo
appoggiata sulla pelle, come seta.
***
Semplicità è un’aria speciale – pensiero
in cerca di rarefazione – grazia che ripudia
la parola eccedente, che desidera
l’osso di seppia del dire
il taglio a brillante del senso.
LA PAROLA DELLA NOTTE
Scrivere di notte è un mondo altro
di parola dallo scrivere di giorno.
I pensieri sono globi rotanti, si muovono
liberi nel luogo che dilata. Senza sentire,
Pensiero e Tempo viaggiano nel solo andare.
La luce del giorno distrae,
distrae il rumore. L’inchiostro usa
il confronto. Soppesa. Sacrifica
spontaneità e intuizione alla grandeur
presunta della mente. Sola,
la parola della notte
lascia sparsi a terra i frammenti del mattino
pronti a rifluire nel dolore d’ogni segno.
OGGI CHE UNA LUCE
Per te una ghirlanda
di carezze, per il bene che sei
in me, oggi che una luce
di zinnia si leva dalla torba.
Il cielo di settembre è lontano,
del suo umore altalenante non m’importa.
Mi basta il cesto bruno della terra, colmo
di colori densi, dei tanti frutti
che hanno colto eternamente la gioia
dell’estate.
RECIPROCITÀ DEI FEUDI
Mi hai invitato e concesso
di percorrere le tue terre; ho accettato
e lasciato il passo entro i miei possedimenti,
reciprocità dei feudi.
Cammino solitaria. Cammini, solitario.
Solo apparenza.
Portiamo in noi le scelte, pesi
contropesi, bilance. E una luce
che misuriamo.
Vicende tengono te nelle radici;
me, nelle fronde. Il tronco, all’apice
dei rami, punto d’incontro: da qui noi partiamo
per il viaggio aereo di Psiche.
Del nostro camminare non comune
decifriamo il sorriso “sensibile ai richiami
che hanno separato i continenti,
al lontano che inizia dalle linee della mano”.
Una tale finezza decide di non farci viandanti
esploratori, incursori. Ci onora
l’essere signori abituati al feudo, appartenenza
di cui lasciamo, riconoscendo il medesimo rango,
l’accesso dell’ospite.
SPECCHI USTORI
Ci siamo donati specchi ustori.
Troveremo l’inclinazione perfetta,
il gradiente preciso, al fiammeggiare
sacro della luce che si spericola
capitombola dal colle entro le fronde
sopra un metallo di luna, forgiato
in fatica di fuoco.
Incendio senza cenere, transito divino
nel raggio che trasforma.