Checché ne dica Napolitano la novità delle amministrative è stato Grillo, non per le sue poche vittorie ma per le sue rilevanti percentuali affluenti dai bacini elettorali di destra e di sinistra, che senza il differenziale di Berlusconi sono considerate omologhe nell’apparato organico di governo. La sinistra riesce comunque a spuntarla nell’agone aritmetico perché il suo elettorato è per storia e per cultura legato dalla fedeltà al partito, non a un capo carismatico, e perciò si trova avvantaggiata in tempi di bonaccia profetica, quando nessuna voce autorevole si leva ad accendere le passioni degli uomini; per questo perfino il “vaffa” di Grillo pare un tuono del cielo rispetto alla logorrea dialettica dei burocrati di partito. La destra invece, da poco orfana di un principe attorno al quale era spiritualmente -oltre che politicamente- organizzata e coesa, si ritrova spaesata ad ascoltare le direttive di un segretario poco attraente e ancor meno persuasivo: Alfano è un buon amministratore ma un pessimo successore della gloria berlusconiana. L’alleanza con Monti l’ha reso poi inviso a quanti deprecano l’operato del preside, situazione palliata a sinistra mediante la retorica comunista o giustizialista (a Genova trionfa Vendola e a Palermo Di Pietro) ma insanabile a destra per via dell’infamia storica e ideologica che la vuole madre dei peggiori tiranni. Quanto a Fini, la sua disfatta è stata comica, il tonfo maldestro di una formica sull’asfalto che lascia il silenzio come unica traccia, il gallo non è arrivato nemmeno alla seconda cantata e il furbo Casini ha già rinnegato l’amico camerata, ridotto a contare i giorni restatigli da presidente e i cimeli fascisti rimastigli da reclamare. Come in Grecia anche in Italia l’imperialismo europeo sta ripolarizzando il popolo negli opposti estremismi del secolo scorso, compagini di lotta e non di governo ricombinate in posizioni politiche difformi (Grillo incanala i voti persi dalla Lega), perché come è stato detto da un acuto pensatore la democrazia eccita gli ideali più nobili e le passioni più basse dell’uomo (Gomez Davila).
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