Due pesi e due misure. Non c’è dubbio che la vicenda di Quarto dia il destro all’Italia priva di etica di trascinare nell’ade della corruzione e dei pasticci anche i Cinque stelle, con le loro pagliuzze, di schiacciarlo sotto il peso delle travi. Certo colpa di un sistema di selezione che spesso fa acqua da tutte le parti, certo il riflesso di una battaglia senza quartiere per l’onestà che è diventata così preminente nell’immagine del movimento da punire oltre il ragionevole qualsiasi peccato di percorso sia pure veniale. Ma al fondo di tutto questo c’è un nodo politico e intellettuale irrisolto, anzi sepolto ovvero l’idea che la reintroduzione dell’etica e della legalità nella politica possa essere di per sé non solo una condizione necessaria, ma anche sufficiente per ritornare a ciò che viene vagheggiato come un “Paese normale”.
E’ un’idea che sembra imporsi con la sua ovvietà ed è invece stravagante perché una politica del tutto subalterna e funzionale agli interessi, al mercato, ai potentati economici è di per sé corrotta, anche se formalmente legale visto che dopotutto i protagonisti del declino morale e democratico sono anche quelli che detengono il potere legislativo e possono via via sgombrarsi il campo dai vincoli della legge. L’ Italia si distingue per la pervasività della corruzione, per la sua dimensione quotidiana, per la tracotanza spicciola e degradante di gruppi e clan che si auto assolvono come nel caso di Banca Etruria, tanto per fare un esempio fra tanti, per un’informazione sottoposta a ricatto in ogni suo momento, ma nessun Paese è più normale nell’accezione in cui intendiamo questa espressione anche se le forme in cui si esplicita la subalternità politica sono diverse e anche se una superstite mentalità calvinista borghese impone altrove che il colpevole preso con le mani nel sacco sia allontanato, proprio per salvare la colpa.
Il fatto è che il presupposto morale, ancorché nobile, non soltanto non è sufficiente, ma ha sempre meno senso in democrazie formali, eterodirette da gruppi di pressione o da governance che rispondono a poteri altri, vale a dire nel mondo auspicato dal liberismo e incarnato nella finanziarizzazione dell’economia e nella sua globalizzazione. Illudersi che tutto questo possa cambiare a seguito di una più attenta selezione del personale politico e/o tramite i tribunali è abbastanza ingenuo perché la politica si è ridotta ad essere collettore di interessi particolari e non più generali, momento di gestione occasionale e mediatica di problemi. E anche se sei adamantino non puoi sfuggire a questa logica. Del resto quasi dappertutto – in Italia lo sappiamo bene – si sta cercando di distruggere le costituzioni per adattarle alla nuova visione oligarchico – tecnocratica cui puntano le elites, distruggendo ogni effettivo diritto o potere dei cittadini, e rendendo la trasformazione un fatto legale, oppure come nei Paesi anglosassoni si agisce sulla legislazione premiare nei confronti del profitto per ottenere lo stesso effetto.
Perciò se la moralizzazione è un coltello a doppio taglio e rischia di nascondere una incapacità o la non volontà di proporre una nuova visone sociale, anche in presenza di apparenti “rivoluzioni”: valga per tutti la proposta di punta del M5S , ovvero il reddito di cittadinanza che è anche la mossa del cavallo degli ultra liberisti finlandesi per tentare di arginare il declino in cui le loro idee hanno gettato il Paese. Ma come si può facilmente vedere (leggi qui) il tutto è congegnato per preservare la riduzione di democrazia in atto nel Paese e per ridurre i redditi reali, non certo per ridare potere e contrattualità ai cittadini . Ciò che voglio dire è che senza una visione d’insieme fortemente innovativa le singole battaglie finiscono spesso per poter essere gestite in modi diversi se non contrari, assumere un significato ambiguo: quando i fini generali sono labili o indefiniti l’ eterogenesi dei programmi è garantita.
Non è un caso che il movimento da posizioni assurdamente intransigenti e puriste, sia approdato a un accordo – scambio sui giudici costituzionali che alla fine favorisce l’Italicum. Ma più che di un errore si tratta di un sintomo: senza una chiara e forte idea politica alternativa, concreta e priva di elusivi millenarismi, ci si espone al logoramento o alla riluttante complicità finale dei singoli e dell’insieme. La canea di chi azzanna l’osso pentastellato e dice, siete uguali a noi, come se questo avesse un senso etico e non ne fosse invece la negazione, non cerca altro che questo. E per resistere ci vogliono robusti appigli ideali, non solo la rete.