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“Non andare dove conduce il sentiero, va’ invece dove il sentiero non c’è e lascia una traccia” Ralph Waldo Emerson, poeta e scrittore (1803 - 1882)
Nel corso degli ultimi due secoli, l’umanità si è affrancata, almeno formalmente, dalla schiavitù dell’uomo sull’uomo. Ha sostituito gran parte del lavoro svolto con enorme fatica da persone ed animali con l’apporto energetico incredibilmente economico e funzionale di macchine e prodotti chimici derivati dai combustibili fossili. Ha sviluppato la “civiltà del petrolio” che a partire dalla Rivoluzione Industriale ha sconvolto e trasformato capillarmente la vita su tutto il globo, sia nei paesi industrializzati che da questo salto energetico traggono diretto beneficio, sia nei paesi definiti eufemisticamente “in via di sviluppo” o emergenti, cioè più poveri, che ne subiscono maggiormente i danni. La nuova società industrializzata ha investito in pieno il settore dell’agricoltura trasformandola nel settore produttivo più dipendente dai combustibili fossili. Per lunghissimo tempo, è parso che questo modello di sviluppo non imponesse prezzi da pagare e potesse consentire alla ristretta élite mondiale, di cui noi facciamo parte, di ignorare le conseguenze delle proprie azioni e vivere in un’eterna, irresponsabile e viziata adolescenza. Ma non è così. Il riscaldamento globale, la devastazione dell’ambiente, la perdita di fertilità dei suoli, la biodiversità in pericolo, le ricorrenti crisi economiche, la scarsità delle materie prime – primo tra tutti proprio del nostro deus-ex-machina, il petrolio – ci costringono a fare i conti con problemi di portata così enorme da lasciarci senza fiato e senza forze, sentendoci impotenti e frustrati di fronte a possibili scenari futuri che non vorremmo davvero augurare ai nostri figli e nipoti, né ad alcun altro.
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