Tre settimane fa, avendo letto la denuncia di un detenuto sulle drammatiche condizioni del carcere di Siena, ho attivato tutte le procedure per andare a toccare con mano la situazione. E così, ieri, assieme all’on. Fabio Evangelisti e a Carlo Benucci del nostro ufficio stampa, sono andato a far visita ai detenuti del carcere di Santo Spirito: ho potuto parlare con loro, vedere le loro celle, gli spazi per l’ora d’aria e la cucina.
Avevo già vissuto l’esperienza di entrare in un carcere in occasione della rappresentazione teatrale messa in scena dai detenuti del carcere di Ranza a San Gimignano la scorsa primavera. Fu quella un occasione per condividere assieme a loro i frutti di mesi di prove e di lavoro. Ma finì con un applauso e una stratta di mano.
Questa volta è stato diverso. Tralascio la descrizione delle stanze, i dati sul sovraffollamento, le condizioni igienico sanitarie. Trovate tutto qui grazie al lavoro di Carlo.
Stare reclusi non è bello, non è comodo e non fa bene alla salute. Tre persone in nove metri quadri compreso il bagno diviso da un separé non è un bel vivere. Stare lontani dai propri cari, in carcere a Siena anziché a Ferrara, per cavilli burocratici non aiuta a passare il tempo serenamente. Avere tanto tempo a disposizione e non sapere come impiegarlo è una condanna superiore a quella inflitta dal tribunale. Ho visto un campetto da calcetto (ma non saprei dirvelo con certezza se di tale si trattasse, tanto era ridotto male) con la pavimentazione completamente dissestata; un cortile per l’ora d’aria con poca aria; una stanza “per i corsi di formazione” di dieci metri quadri a star larghi e ho sentito tanto puzzo di fumo di sigarette, come non mi capitava ormai da anni. E le due cose, se ci pensate, sono strettamente correlate: se non ho di meglio da fare, molto probabilmente mi metto a fumare. Un po’ per dimenticare, un po’ per ammazzare la noia. E se non ti chiami Marco e sai dipingere, o Antonio e sai cucinare, a Santo Spirito non resta molto da fare.
Va detto che, parlando con quelli che hanno provato le asprezze di altre prigioni molto più grandi e affollate, ho avuto la conferma che a Santo Spirito si sta bene. I rapporti umani con gli altri detenuti sono buoni e così anche con le guardie carcerarie. E se la loro bocca poteva essere condizionata dalle orecchie del Direttore e del Comandante delle guardie Carcerarie lì presenti, da quello che sono riuscito a percepire dai loro occhi, a volte timorosi a volte curiosi e a volte rabbiosi, devo riconoscere che mi sono parsi sinceri. La dimensione della casa circondariale di Siena rispetto ad altre carceri è ridotta: ottanta persone finiscono per conoscersi tutte e le relazioni che si stringono sono più forti.
Ad ogni modo ciò che più è saltato agli occhi è il totale isolamento del carcere rispetto alla vita della città. Ho avuto la sensazione che i senesi si siano dimenticati dei loro detenuti. I luoghi di ricreazione, come dicevo, mi hanno colpito per il loro squallore. Sarebbe sufficiente un maggiore coinvolgimento degli Enti Locali, a partire dal Comune che ha la responsabilità della gestione del territorio, i quali si dovrebbero fare promotori di un progetto per trasformare la Casa Circondariale in un vero e proprio Quartiere della città, valorizzandone, con il sostegno del volontariato, le vocazioni culturali, ludiche e ricreative, tornando a far vivere quei luoghi di integrazione e pregio che anche il Santo Spirito possiede, come il chiostro e soprattutto il vecchio teatro, che oggi versa invece in uno stato di impietoso abbandono.