Era il 23 aprile del 1849 quando Fëdor Dostoevskij, allora ventisettenne, fu arrestato con l'accusa di partecipazione a società segreta con scopi sovversivi. L'esito della condanna fu molto grave: morte per fucilazione. Tuttavia, la sorte gli fu amica (o non saremmo qui a parlarne). Mentre era sul patibolo in attesa di essere ucciso, giunse la notizia che lo zar Nicola I aveva convertito la pena capitale in carcere a vita. Fëdor Dostoevskij ebbe salva la vita pochi minuti prima che gli fosse strappata via: questa esperienza lo segnò profondamente, dal punto di vista psicologico e anche fisico (da allora iniziò infatti a soffrire di epilessia). Successivamente, lo scrittore fu deportato in Siberia e lì rimase fino al 1854, quando venne scarcerato per buona condotta.
Tutte queste esperienze confluirono naturalmente nella sua opera letteraria. Echi di questi traumi attraversano "L'idiota", "Memorie dalla casa dei morti" e uno dei romanzi che lo ha reso più famoso: "Delitto e castigo".
L'opera narra le vicende di Rodion Romanovič Raskol'nikov, ventitreenne di San Pietroburgo che abita in un tugurio in periferia e ha continui problemi economici. Ha appena abbandonato gli studi perché non può più permetterseli e lotta quotidianamente contro questa sua condizione. Forte debitore nei confronti dell'arida usuraia Alëna Ivanovna, Raskol'nikov decide infine di ucciderla. Durante l'omicidio, però, entra in casa anche la sorella dell'anziana donna e viene anch'essa eliminata come testimone scomoda. Dapprima convinto di poter sostenere il peso della propria colpa, Raskol'nikov sprofonda sempre più nella disperazione e nell'orrore, finché l'incontro con una giovane prostituta, la dolce Sonja, lo indirizzerà su un percorso di purificazione morale (che lo condurrà in prigione, una fortezza molto simile a quella in cui fu rinchiuso l'autore).
"Delitto e castigo" è incentrato su una serie di temi: la colpa; la sua elaborazione; il potere salvifico della fede e dell'amore (di cui Sonja è uno strumento, un mezzo per elevare Raskol'nikov e permettergli la catarsi); l'idea, sostenuta Raskol'nikov, che il limite morale non sia identico per tutti, ma che per i grandi uomini si possa ampliare in nome di un bene più grande (idea che l'autore disprezza, distruggendola progressivamente nel romanzo). In generale, emerge la visione cristiana della sofferenza come percorso necessario alla salvezza.
In Italia c'è una piccola querelle sulla traduzione del titolo originale, "Prestuplénie i Nakazànie", che a sua volta deriva dall'abitudine, a oggi non ancora perduta in editoria, di tradurre le opere a partire dalla traduzione in lingue più facili dell'originale (come romanzi giapponesi tradotti dall'edizione inglese o, in questo caso, romanzi russi tradotti dal francese). La prima edizione italiana risale al 1889 e l'autore tradusse letteralmente il titolo francese, "Le crime et le châtiment", che divenne "Il delitto e il castigo". "Castigo", però, mal si adatta al termine russo nakazànie, che indica non tanto l'astratta punizione morale, quando la pena giuridica vera e propria. Infatti, questo termine fu a sua volta preso da Dostoevskij da un'opera italiana: "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria. Oggi il romanzo è comunque conosciuto in Italia come "Delitto e castigo", tanto che la traduzione imprecisa è diventata ufficiale.
"Delitto e castigo" ha avuto ben dodici tra adattamenti cinematografici e televisivi (film, film tv, miniserie) e ispirato indirettamente molte altre opere. È uno dei più importanti classici della letteratura russa: una lettura affatto facile, a essere sinceri, per la grande angoscia e carica emotiva che l'autore è riuscito a infondere nell'opera.
TITOLO: Delitto e castigo
TITOLO ORIGINALE: Prestuplénie i Nakazànie
AUTORE: Fëdor Dostoevskij
CITAZIONE: "Dove mai ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi - avendo intorno a sé dei precipizi, l'oceano, la tenebra eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta - e rimanersene cosí, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d'anni, l'eternità -, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere!"