Jeffrey D. Sachs, Professore di Economia e direttore dell’Earth Institute of Columbia University, nonchè consigliere speciale del ONU per il Segretario Generale sugli obiettivi di sviluppo del millennio, propone una sua riflessione sui gravissimi e sempre più ripetuti eventi collegati al Gobal Warming.
L’articolo “Capire l’impasse climatico” è stato pubblicato su Guerrecontro
“La NOAA (l’agenzia che coordina gli studi oceanografici e atmosferici negli Stati uniti) ha pubblicato una “Relazione sullo stato del clima”, che analizza i mesi tra gennaio e maggio. I primi cinque mesi di quest’anno sono stati i più caldi dall’inizio delle rilevazioni, che sono iniziate nel 1880. Maggio è stato il mese più caldo in assoluto. Ondate di caldo intenso stanno raggiungendo in questo momento molte parti del pianeta. Tuttavia noi non abbiamo ancora adottato misure efficaci.”
Se ricordiamo le ultime tragedie climatiche, ci accorgiamo che non appartengono più al così detto Terzo Mondo, così lontano dal nostro quotidiano, ma che si sviluppano quasi nel cortile di casa: gli incendi in Russia, gli allagamenti in Polonia e in Germania, le frane, i temporali violentissimi con acquazzoni, grandine e vento sull’Italia, la Francia, la Spagna…
Dorino Piras pubblica un articolo sul suo blog preso in prestito da Repubblica.it con il titolo “Clima che cambia: i monsoni europei“. Ne voglio copiare qui un pezzo e vi suggerisco di leggere l’articolo completo, estremamente interessante.
“Un super monsone in Asia e una raffica di piogge monsoniche che sconvolge l’Europa. Il caos climatico cambia la mappa del meteo, rende strutturali episodi eccezionali, costringe a cercare nuove parole per descrivere fenomeni che assumono intensità e frequenza del tutto anomale.
E così dall’Ibimet, l’Istituto di biometeorologia del CNR di Firenze, provano a forzare il vocabolario per tradurre l’intensificarsi dei drammi che colpiscono decine di milioni di persone.
“I termini che fino a ieri usavamo abitualmente per descrivere le piogge eccezionali che colpivano l’Europa non danno più l’idea di quello che succede realmente oggi”, spiega Giampiero Maracchi, responsabile dell’Istituto. “A molti l’uso del termine monsone in uno scenario europeo sembrerà improprio, ma quello che sta accadendo ha caratteristiche simili alla dinamica dei monsoni.“
Continuazione dell’articolo sul sito di Repubblica.
Perché si scatenano regolarmente dei fenomeni conosciuti, certamente, ma fino ad oggi solo occasionali?
Cerchiamo con lo studio di Jeffrey D. Sachs una possibile spiegazione.
“Ci sono diverse ragioni per questo. Se le comprendiamo, superiamo lo stallo nel quale ci troviamo.
In primo luogo, la sfida economica per il controllo del cambiamento climatico causato dall’uomo è veramente complessa.
I cambiamenti climatici causati dall’uomo sono determinati da due principali fonti di emissioni di gas serra (soprattutto anidride carbonica, metano e protossido di azoto): l’uso di combustibili fossili per produrre energia e l’agricoltura (compresa la deforestazione per creare nuovi terreni agricoli e pascoli).
Modificare i sistemi energetici e agricoli nel mondo non è un compito facile. Non è sufficiente sbracciarsi e dichiarare che il cambiamento climatico è un’emergenza. Abbiamo bisogno di una strategia concreta per ristrutturare due settori economici che sono centrali per l’economia globale e coinvolgere l’intera popolazione mondiale.
“Acqua” spettacolo di danza del CAD, coreografia di Cinzia Romiti,
realizzato per l’A.R.T.
La seconda grande sfida per affrontare il cambiamento climatico è la complessità della scienza stessa.
Le nostre conoscenze sul clima terrestre e sulla componente dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo sono il risultato di un lavoro scientifico estremamente duro che coinvolge migliaia di scienziati in tutto il mondo.
Queste conoscenze scientifiche sono incomplete e permangono molte incertezze sui pericoli, l’entità e tempi dei cambiamenti climatici. Naturalmente, l’opinione pubblica ha difficoltà a comprendere questa complessità ed incertezza, soprattutto perché i cambiamenti climatici si verificano nel corso di decenni e secoli, non in mesi o anni. Inoltre, di anno in anno, ma anche di decennio in decennio, le variazioni naturali del clima si mescolano con il cambiamento climatico generato dalle attività umane, il che rende ancora più difficile la determinazione del danno da noi provocato. Ciò ha causato un terzo problema nella ricerca di una soluzione per i cambiamenti climatici, che nasce dalla combinazione delle implicazioni economiche e dell’incertezza che esiste rispetto alla questione: una brutale e distruttiva campagna contro la scienza del clima voluta da potenti interessi economici che, a quanto pare, ha creato un’atmosfera di ignoranza e confusione.
realizzato per l’A.R.T.
Il Wall Street Journal, per esempio, il giornale d’affari più importante degli Stati Uniti, ha per decenni condotto una campagna aggressiva contro la scienza del clima.
Le persone coinvolte in questa campagna non solo sono poco informate sulle basi scientifiche, ma non hanno mai mostrato alcun interesse a migliorare le proprie conoscenze. Hanno infatti sempre rifiutato l’invito di scienziati ambientali ad organizzare incontri e dibattiti seri sull’argomento.
Le grandi compagnie petrolifere e gli interessi delle multinazionali sono parte di questo gioco, e hanno finanziato campagne volte a screditare la scienza del cambiamento climatico. Il loro approccio consiste nell’enfatizzare le incertezze della scienza e dare l’impressione che gli scienziati siano coinvolti in una cospirazione per spaventare la gente. E’ un’accusa assurda.
Ma le accuse assurde possono trovare il consenso dell’opinione pubblica se sono presentate in un formato elegante e ben finanziate.
Se si soddisfano questi tre fattori – l’enorme sfida economica per ridurre le emissioni di gas serra, la complessità della scienza del clima e la deliberata campagna per ingannare l’opinione pubblica e screditare la scienza – otteniamo il quarto problema che abbraccia tutto il resto: la riluttanza o incapacità dei politici statunitensi di formulare una politica ragionevole in materia di cambiamento climatico.
Gli Stati Uniti hanno una responsabilità enorme dato che hanno avuto per molto tempo le maggiori emissioni di gas serra a livello mondiale (l’anno scorso sono stati superati dalla Cina). Attualmente, le emissioni pro capite degli Stati Uniti sono quattro volte quelle della Cina.
Eppure, nonostante il ruolo centrale degli Stati Uniti nelle emissioni globali, il Senato americano non ha fatto nulla per affrontare il problema, nonostante abbia ratificato 16 anni fa il trattato dell’ONU sui cambiamenti climatici.
Abbiamo però sperato con l’arrivo di Obama inuna mano ferma che si sarebbe opposta alle pressioni delle lobbies delle armi ed altre del genere. E allora? La posizione debole di Obama nel disastro provocato dalla BP nel Golfo del Messico ha sollevato molte domande sulla libertà di manovra di cui dispone.
Lascio lo stesso professor Jeffrey D. Sachs rispondere a questa osservazione:
“Quando Barack Obama è diventato presidente, è nata la speranza che ci sarebbe stato un progresso. E’ vero che Obama avrebbe fatto di più di quello che è riuscito a fare in questo campo, ma è anche vero che fino a questo momento, la strategia che ha seguito non gli ha consentito di raggiungere un accordo con i senatori e le industrie. Le lobby hanno dominato e Obama non è riuscito a prendere dei provvedimenti nella direzione auspicata.
L’amministrazione Obama avrebbe dovuto tentare – e deve continuare a cercare di farlo – una soluzione alternativa. Invece di discutere di tali preoccupazioni nelle sale della Casa Bianca e al Congresso, Obama dovrebbe presentare un piano coerente per il popolo americano. Dovrebbe presentare una solida strategia per ridurre, nei prossimi 20 anni, la dipendenza dai combustibili fossili, per la conversione alle auto elettriche, per l’espansione delle fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica e solare. Obama potrebbe fornire anche una stima dei costi e dimostrare quanto sarebbero modesti rispetto ai benefici enormi che si potrebbero ottenere.
Stranamente, sebbene sia il candidato del cambiamento, Obama non ha scelto di presentare dei piani di azione per un cambiamento reale. La sua amministrazione è sempre più invischiata nella morsa paralizzante delle lobby. E’ difficile comprendere se è una scelta intenzionale, che a Obama e al suo partito continuerà a garantire enormi contributi elettorali, o se è il risultato di decisioni politiche sbagliate. Può essere un po’ l’uno e un po’ l’altro.
Ciò che è chiaro è che in questo modo siamo più vicini al disastro. La natura non si preoccupa delle nostre macchinazioni politiche e ci sta dicendo che il nostro attuale modello economico è pericoloso e suicida. A meno che, nei prossimi anni, troviamo una vera leadership globale, che impari questa lezione nel modo più duro possibile.”
coreografia di Elena Repetti, realizzato per l’A.R.T.
In un articolo di Greenreport di Livorno si legge una notizia per lo meno stupefacente:
“La Canadian Broadcasting Corporation (Cbc News) ha annunciato che le vespe sono arrivate nella remota e freddissima Isola di Baffin, nell’estremo nord del Canada. Un gruppo di ricercatori formato da docenti e studenti delle università canadesi di Prince Edward Island Toronto e McGill di Montreal hanno trovato in diverse località del nord, incluse Lake Hazen, Nunavut, Goose Bay, Newfoundland & Labrador e Baffin Island, le prove che le vespe questa estate hanno nidificato in tutto l’Artico canadese anche a latitudini estreme come quelle di Baffin. Secondo loro questa è un’ulteriore prova eclatante del cambiamento climatico. I ricercatori hanno trascorso la breve estate artica a cercare insetti per confrontarli con i risultati di un analogo condotto 50 anni fa. (…) L’Artico è uno degli ecosistemi più fragili del pianeta ed è sottoposto a fortissime pressioni ambientali a causa degli effetti del global worming che ne fanno una delle frontiere avanzate di cambiamenti climatici.
I ricercatori del Npb spiegano che «Anche piccole variazioni delle condizioni ambientali sono suscettibili di colpire le strutture delle comunità delle specie polari (abbondanza, biodiversità, distribuzione). Attualmente è necessario documentare i cambiamenti della struttura per comprendere meglio la portata dell’impatto dei cambiamenti climatici.
Per la loro abbondanza e la capacità di crescita rapida delle loro popolazioni, gli artropodi possono servire da “barometro” per sorvegliare l’evoluzione degli ecosistemi. In più, sono una fonte di cibo per numerosi uccelli, mammiferi e pesci del Grande Nord. Così, una modificazione della struttura delle comunità di artropodi potrebbe avere un impatto importante su questi animali nordici».
Ma cosa ci fanno le vespe in terre artiche?
“La biologa Donna Giberson, che guidava il gruppetto di studenti e ricercatori dell’Upei, ha detto che la conferma della presenza di vespe è probabilmente solo la prima delle prove del cambiamento climatico che alla fine verificherà lo studio: «Certo, ci sono state un sacco di segnalazioni di vespe su Baffin Island, che non avrebbero dovuto essere lì e siamo in grado di confermare che ci sono un bel po’ di nidi e che si stanno riproducendo. Questa è probabilmente la prima prova che abbiamo di quel che si sta muovendo, speriamo che, quando guarderemo i nostri campioni, troveremo molto di più, ma questo è stato il nostro inizio».
La ricerca prosegue. I dati sono in fase di analisi, ma lasciano già presuporre delle conferme più che preoccupanti.
“La ricerca delle vespe di Baffin fa parte del più vasto Northern Biodiversity Program/Programme sur la Biodiversité Nordique (Npb) che punta a campionare e catalogare la diversità e gli adattamenti degli artropodi in 12 località del nord canadese e gli studenti sono una componente essenziale del progetto, visto che ognuno dei partecipanti conduce ricerche su diversi aspetti del progetto globale.”
L’obiettivo del Npb è quello di «documentare i cambiamenti delle strutture delle comunità di artropodi del nord procedendo ad uno studio similare al Northern Insect Survey (1947-1962) realizzato mezzo secolo fa, un’iniziativa senza precedenti che ha permesso c di campionare 72 siti nelle regioni eco-climatiche nordiche, cioè le regioni eco-climatiche Artico, Subartico e Nord-boreale. I risultati dello studio Npb (2010-2011) verranno confrontati con quelli del Nis. Così il Npb valuterà gli effetti dei cambiamenti climatici sulla struttura delle comunità di artropodi e documenterà l’adattamento di alcune specie alle condizioni ambientali in cambiamento».
Il problema è che la società di consumo in cui viviamo ci ha abituato a digerire tutte le notizie, belle o brutte (ma più spesso brutte), come se fossero tutti prodotti uguali e banali. Ecco la parola lasciata, ecco quello che mi preoccupa: la politica di banalizzazione in atto che tenta di bloccare la coscienza, che vuole cancellare la consapevolezza e la responsabilità, che porta a giustificare l’inerzia. Alt alla banalizzazione!
Riprendiamo la nostra sorte nelle nostre mani !
Salviamo il nostro futuro
e quello delle generazioni future
di cui siamo tutti co-responsabili!