Trovo particolarmente banali e svianti affermazioni come quelle sotto citate, contenute nel testo di “dedefensa, ecc.” citato in un commento al nostro blog. Ci si riferisce in particolare ad opinioni di Brzezinski, anche se dubito che questi pensi proprio quanto viene riportato (magari esattamente, ma di ciò che sostengono individui come lui va fatta un’analisi un po’ speciale):
“Complémentairement mais non accessoirement, il nous dit que la révolte des peuples, ou l’‘insurrection du monde’, est en marche et que cela marche bien.”
“En fait, nous dit Brzezinski, le monde est devenu trop compliqué (le ‘monde complexe post-hégémonique’), et cette situation dans le désordre le plus complet, pour encore répondre aux lois de la géopolitique ; en cela, nous signifiant, lui, Brzezinski, le géopoliticien glacé et implacable, que l’ère de la géopolitique est close et que lui succède, ou lui a déjà succédé, quelque chose comme l’ère de la communication. En l’occurrence, nous ne sommes pas plus étonnés ni surpris, et nous avons déjà pris la résolution, depuis un certain temps, de proposer de nommer l’ère succédant à l’ère géopolitique, du nom d’‘èrepsychopolitique’.”
“par conséquent, fin de l’ère géopolitique, développement de l’ère psychopolitique, déclin accéléré du système du technologisme, affirmation générale du système de la communication”.
“Il semble que ce soit de plus en plus, selon Zbig, le grondement des populations en fureur qui se charge de répondre à cette proposition globalisante”.
Mi sembra quasi di sentire l’eco dei no-global o di vari altri confusionari ambigui e torbidi. Alla larga da simili pasticci forse non consapevoli (anche se io penso sempre male in casi simili); sembra proprio che si applichi la teoria del caos all’ideologia anti-capitalistica e antimperialista. Più miscugli indigesti si preparano e meglio stanno in salute le ideologie dei dominanti.
Resta certamente il mutamento della strategia (o tattica) degli Usa come da noi più volte messo in luce. Resta il fatto che non si deve confondere l’incipiente multipolarismo (in apparenza accettato dalla stessa neostrategia dei dominanti centrali) con il declino statunitense. Negli anni ’90, proprio appena prodottosi il crollo del “socialismo” e dell’Urss, alcuni settori più o meno sinceramente anticapitalisti ci raccontarono che il secolo XXI sarebbe stato giapponese. Gli Usa erano battuti dal toyotismo, le loro città (soprattutto della costa pacifica) erano “comprate” dai capitali giapponesi. Pochi anni e il Giappone fu messo a terra da una lunga stagnazione, e non si è ancora risollevato in termini di sviluppo economico. I capitali investiti negli immobili statunitensi rientrarono in massa svalutati della metà e più, l’industria automobilistica (della ormai vecchia seconda rivoluzione industriale) dimostrò, con la sua totale “maturità”, di non poter competere con l’elettronica, l’aerospaziale (e altre cosette varie della terza), che attribuivano una netta superiorità agli Usa quanto a potenza.
Alla faccia della comunicazione, della “società dell’informazione”, e ciance varie, si dimostrò quali apparati statali siano in definitiva decisivi per la supremazia. Il resto è un buon contorno, non c’è dubbio, ma resta sempre la giustezza dell’affermazione secondo cui ogni egemonia deve contemplare, quale “mossa d’ultima istanza”, l’uso della violenza (all’interno come all’esterno). La decisività della comunicazione, dell’informazione, ecc. è l’ideologia pagata dai dominanti come cintura protettiva “secondaria”, ammannita da intellettuali marci e opportunisti a masse di sprovveduti giovinotti.
Gli stessi intellettuali opportunisti che predicarono il Giappone come potenza dominante di questo secolo, si sono buttati successivamente sulla Cina, sempre con le solite superficialità buone per i gonzi: tale paese possiede gran parte del Debito pubblico degli Stati Uniti, quindi li ha in pugno, li può mettere a terra quando vuole. Abbiamo a che fare con intellettualoidi in chiara malafede, “chierici” di “chiesette secondarie”, create per riunire i soliti idioti salmodianti (magari in FB, che è la rete, dominatrice del futuro, la “democrazia in atto e in marcia”). Semmai è la Cina che deve stare attenta alla carta straccia in cui potrebbe trasformarsi il debito statunitense. I dirigenti cinesi non sono però giovinetti dal torpido cervello e, invece di crogiolarsi “nell’avere in pugno” la finanza Usa, si danno da fare con armamenti e settori strategici, fra i quali c’è anche l’informatica ed elettronica: non però perché la “comunicazione” è divenuta l’arma decisiva nello scontro tra potenze, bensì per la sua rilevanza nella fabbricazione e poi uso di tutte le nuove micidiali armi già messe a punto mentre altre sono – queste sì – “in marcia d’avvicinamento” all’approntamento effettivo.
Resta, lo ripeto, l’uso di strategie (tattiche) appropriate, a volte elastiche, per cercare di combattere proprio il multipolarismo e di mantenere, se possibile, un adeguato margine di supremazia. Proprio per questo – esattamente come all’epoca della strategia Kissinger-Nixon, osteggiata da altri e che andò incontro a molte difficoltà, tipo il Watergate – la neostrategia non è una definitiva e irreversibile svolta nella politica estera americana. E’ una delle opzioni dell’oscillante pendolo secondo cui muta detta strategia (o tattica) di volta in volta, di fase storica in fase storica, di congiuntura in congiuntura. E non si tratta di una differenza di opzioni soltanto temporale, ma anche spaziale: perché nell’area del Pacifico, e del contenimento della Cina, sembrano venire compiute mosse diverse da quelle poste in atto (specialmente negli ultimi due anni) nelle zone a noi più vicine e dirette soprattutto contro la Russia.
Brzezinski è un po’ come Kissinger. Sono cartine di tornasole per afferrare gli orientamenti – in ogni caso sempre “imperiali”, irrevocabilmente “imperiali” – della politica estera (di potenza!) in voga nella fase odierna e nell’area che più ci riguarda da vicino. Non sono però segnali di rassegnazione degli Usa al multipolarismo, accettato come ormai inevitabile. Altri intenti stanno dietro a simili mutamenti (e adattamenti spazio-temporali) delle strategie di un paese, che ha ancora un margine di superiorità bellica considerevolissimo. Non conosco ciò che pensa effettivamente Brzezinski in quanto individuo concreto; sono però convinto che i centri, operanti con gruppi di strateghi in servizio attivo, non danno per scontato nessun irreversibile processo futuro: si oppongono anzi al multipolarismo. In certi casi – temporali e spaziali – in modo elastico e flessibile (come nelle “rivolte arabe” e via dicendo); altre volte, o in altre aree, con ben diversa rigidità e durezza.
L’apparente accettazione del multipolarismo è solo il sintomo della “liquidità”, e dunque multilinearità, della strategia impiegata. Questa multilinearità, com’è logico che avvenga, è imputata alla “complessità” della situazione. Quest’ultima esiste in Europa e Medio Oriente come nell’Asia del Pacifico. Eppure si agisce in modo diverso nelle differenti aree. In realtà, è l’azione strategica a rendere “semplice” (cioè sufficientemente determinata) o “complessa” (cioè con molte facce) la “realtà” in cui i “soggetti” si muovono in conflitto; non viceversa. Tuttavia, si può ben far riferimento alla complessità; basta essere consapevoli dell’uso dei termini impiegati, basta essere resi edotti delle modalità secondo cui i “soggetti in lotta” stabilizzano un dato campo per la loro azione; rendendo questo campo duro e secco oppure sabbioso oppure acquitrinoso, ecc. a seconda delle circostanze. Tutto dipende dai rapporti tra gruppi sociali e politici nelle diverse aree socio-geografiche, dalle forze che si possono (e vogliono) mettere in campo e con quali mosse strategiche esse vengono fatte operare sul terreno per ottenere i migliori risultati. Fare confusione su tale punto – e se non proprio Brzezinski, sono convinto che i centri strategici Usa non la fanno, perché non composti da intellettuali dementi come quelli odierni “occidentali” – sarebbe dannoso per qualsiasi gruppo dominante (e quelli americani non sono certo zombi come quelli italiani).