Nonostante la mia indole rivoluzionaria, ho sempre sostenuto che Mubarak fosse un genio della politica estera. Non è facile fare i vicini di casa dello stato d'Israele e avere un rapporto contraddittorio con la causa palestinese. La posizione geopolitica dell'Egitto non concede leggerezze a chi lo governa, e la credibilità internazionale durante la sua trentennale dittatura era piuttosto elevata, anche se non sempre per nobili motivi.
Mentre, però, Mubarak faceva il bello con i vicini di casa "importanti" e le controparti "occidentali", riduceva in miseria e nel buio dell'ignoranza il suo popolo e sorvolava su un piccolo dettaglio di importanza fondamentale: l'acqua, e, nello specifico, il Nilo."Se l'Egitto è un dono del Nilo, il Nilo è un dono dell'Etiopia", dicono gli Etiopi. Ma la questione non coinvolge solo i paesi appena citati, che sono due dei dieci stati rivieraschi insieme al Sudan, Sud Sudan, Kenya, Uganda, Tanzania, Ruanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo.
L'Egitto, con la sua superiorità demografica, politica ed economica, ha sempre goduto dei vantaggi stabiliti dall'accordo del 1929 tra Gran Bretagna ed Egitto, in cui gli garantiva utilizzo quasi esclusivo delle acque del fiume, riservando però delle quote al Sudan, all'epoca protettorato britannico. Questo accordo sanciva pieno potere al Cairo su qualsiasi progetto riguardante lo sfruttamento del Nilo, anche se proveniente da un altro stato rivierasco ( http://temi.repubblica.it/limes/nella-battaglia-del-nilo-letiopia-sfrutta-la-debolezza-egiziana/24951)
Nel 1959, una convenzione tra Egitto e Sudan rivede l'accordo del 1929: cominciati i lavori sulla diga di Assuan che sarà poi terminata nel 1970, l'Egitto concede al Sudan ulteriori metri cubi d'acqua per lo sfruttamento del Nilo.
Volendo usare un appellativo tristemente moderno, Sudan ed Egitto non sono che gli utilizzatori finali delle acque del fiume più lungo del mondo, e aver snobbato deliberatamente gli altri paesi rivieraschi non gioca a loro favore. In particolar modo l'Egitto, forte della sua popolazione in costante crescita che ha ormai raggiunto i 90 milioni, non si può permettere di scherzare con un paese che, a differenza sua, è stabile e ha un'economia con forti possibilità di crescita. L'Etiopia con il suo Nilo Azzurro, infatti, fornisce l'85% delle acque del Nilo (le restanti provengono dal Nilo Bianco che sgorga dal lago Vittoria in Uganda).
Da sempre, questi utilizzatori finali hanno avuto potere decisionale sulle acque di un fiume che passa in altri otto stati. Questi otto stati (sette, prima della nascita del Sudan del Sud nel 2011), cercando di avere una voce in capitolo nella gestione e nello sfruttamento del patrimonio idrico del Nilo, si sono organizzati in una Iniziativa del Bacino del Nilo (IBN), fondata del 1999 e volta alla revisione dei trattati del 1929 e del 1959, con la proposta di un uso equo e ragionevole delle acque del fiume e uno sviluppo socioeconomico sostenibile dell'intero bacino.
Dalla IBN nasce il Cooperative Framework Agreement (CFA), che dovrebbe ufficializzare il programma dell'IBN, ma che trova difficoltà a realizzarsi proprio per l'opposizione dell'Egitto, che si tiene saldo alle garanzie totalitarie dei trattati di epoca coloniale.
Soprattutto l'Etiopia, a causa anche di conflitti atavici con l'Egitto risalenti all'epoca faraonica e proseguiti poi dalle lotte religiose tra i re cristiani dell'una contro i sultani musulmani dell'altro, freme per emanciparsi e volgere così il controllo delle acque che sgorgano dal suo territorio alla produzione di energia elettrica.
Mubarak negli ultimi 25 anni del suo governo non si è mai recato ad Addis Abeba, sicuro al caldo degli antichi trattati. Questa "distrazione" gli è costata la coalizione dei paesi rivieraschi a monte del Nilo contro l'Egitto e il Sudan nella firma da parte di sei stati rivieraschi del Cooperative Framework Agreement sulla gestione delle acque del fiume, in una riunione di Sharm el Sheikh nel 2010.
Caduto il dittatore, ci ha provato il primo Ministro del dopo-rivoluzione Essam Sharaf nel maggio 2011. Grande passo avanti dopo un quarto di secolo di silenzio.
Ci ha riprovato Morsi a gennaio di quest'anno e in questi giorni, in occasione di summit internazionali. Le relazioni bilaterali tra i due paesi, però, continuano ad essere trascurate.
Addirittura un cablo di Wikileaks del 2012, smentito dagli interessati, rivela che l'Egitto e il Sudan progetterebbero un attacco aereo per sabotare la diga etiope.http://www.egyptindependent.com/
La diga della Grande Rinascita (Grand Renaissance Dam), progettata per essere la più grande dell'Africa, ha appunto in questi giorni inaugurato i lavori con la deviazione dell'acqua del Nilo Azzurro.
L'Egitto e il Sudan sono contrari alla sua costruzione perché temono la diminuzione di apporto d'acqua nei loro paesi, quasi totalmente desertici.Nonostante le rassicurazioni del governo etiope e di alcuni esperti che, data la stagionalità delle piogge, vedrebbero dei vantaggi nell'accumulo delle acque al di là della diga per una più equa distribuzione, gli antichi quasi esclusivi depositari di questa risorsa idrica si trovano in una posizione di debolezza e fragilità, oltre che di credibilità politico-strategica ed economica nella zona e nel mondo.
Questi progetti mastodontici, a causa del loro impatto concreto e agli interessi delle varie controparti finanziarie sono mostri capaci di sovvertire le dinamiche ambientali e politiche degli stati coinvolti. Soprattutto quando è l'acqua ad essere coinvolta. I paesi del bacino del Nilo, ad esempio, sono tra gli ultimi in classifica per approvvigionamento e accesso all'acqua.
Sadat, nel 1979, disse "L'unica questione che può trascinare di nuovo l'Egitto in guerra è l'acqua".