Magazine Cinema

Un continente selvaggio

Creato il 03 aprile 2014 da Gaetano63
Un continente selvaggioL’Europa alla fine del secondo conflitto mondiale. Non una storia di ricostruzione ma di sprofondamento nell’anarchia
di Gaetano ValliniÈ uno sforzo di immaginazione quello che Keith Lowe chiede al lettore all’inizio del libro Il continente selvaggio. L’Europa alla fine della seconda guerra mondiale (Bari, Laterza, 2013, pagine 498, euro 25). Vuole che immagini un mondo senza istituzioni, in cui i confini fra Paesi sembrano dissolti lasciando uno spazio sterminato senza ordine e legge; un mondo privo di riferimenti, nel quale è difficile avere il senso di ciò che è giusto o sbagliato, e dove chiunque è un potenziale nemico. Non c’è denaro, non ci sono negozi, del resto non c’è roba da vendere, neppure cibo. Molti edifici sono ridotti a cumuli di macerie. I trasporti sono praticamente inesistenti, le informazione non arrivano. «Uomini in armi vagano per le strade, arraffando ciò che più gli aggrada e minacciando chiunque intralci il loro cammino. Donne di tutte le classi ed età si prostituiscono per avere cibo e protezione. Non c’è vergogna. Non c’è moralità. C’è solo sopravvivenza».Ebbene, quello che oggi apparirebbe fantasioso anche per un film hollywoodiano del genere catastrofico, è ciò che vissero milioni di persone «nel cuore di quella che per decenni era stata considerata come una delle più stabili e sviluppate aree della terra». «La ricercata frammentazione delle comunità aveva seminato un’irreversibile diffidenza fra vicini; e la carestia universale aveva reso la moralità personale un fattore irrilevante», scrive Lowe, aggiungendo: «Che l’Europa sia poi riuscita a tirarsi fuori da questo pantano, e ad avanzare fino a diventare un continente prospero e tollerante, appare poco meno di un miracolo». Un continente selvaggioE in effetti, guardando alla ricostruzione, è facile essere attratti solo dall’aspetto di un innegabile progresso. In quest’ottica la conclusione della guerra segnò non solo la fine della repressione e della violenza, ma anche la rinascita spirituale, morale ed economica dell’intero continente. «Ma non ci vuole molta fantasia — sottolinea tuttavia lo studioso — per capire che questa è una visione troppo rosea della storia del dopoguerra. Intanto, la guerra non finì appena sconfitto Hitler. Un conflitto di così vaste proporzioni quale era stata la seconda guerra mondiale, con tutti i focolai di contese civili minori che inglobava, non poteva arrestarsi di colpo, e ci vollero mesi, se non anni, perché terminasse, e la fine arrivò a tappe, in momenti diversi nelle diverse parti d’Europa». Anzi, alcuni a Est sostengono che sia finita realmente addirittura in tempi molto più recenti: il conflitto era iniziato con l’invasione dei loro Paesi da parte dei nazisti prima e dei sovietici poi, quindi non lo si poteva dire concluso fino a che l’ultimo carro armato sovietico non avesse lasciato il suolo patrio; cosa che avvenne solo a partire dal 1989 e per diversi anni.Nell’immediato, come sempre al termine di una guerra, le persone erano più interessate alla sopravvivenza che a restaurare le basi della società. Affamate, spogliate di tutto e incattivite da anni di sofferenza, prima di sentirsi motivate a ricostruire dovevano far sbollire rabbia e rancore. E ciò non fu indolore.Un continente selvaggio«Dopo la guerra — scrive Lowe — ondate di vendette e punizioni si riversarono su tutte le sfere della vita europea. Nazioni furono private di territori e disponibilità finanziarie, governi e istituzioni furono sottoposti a epurazioni, e intere comunità furono terrorizzate a causa di quello di cui, secondo l’opinione corrente, si erano rese responsabili durante la guerra. A subire le peggiori vendette furono soprattutto singoli individui. In tutta Europa, civili tedeschi furono percossi, arrestati, impiegati come schiavi da fatica o semplicemente assassinati. Soldati e poliziotti che avevano collaborato con i nazisti furono arrestati e torturati. Donne che erano andate a letto con soldati tedeschi furono denudate, rasate e fatte circolare per le strade coperte di catrame. Donne tedesche, ungheresi e austriache furono violentate a milioni. Lungi dal ripulire la lavagna, il primo dopoguerra vide al contrario un diffondersi dei torti fra le comunità e fra le nazioni, e molti di essi sono vivi tuttora». Inoltre la fine della guerra non significò una nuova armonia tra le varie etnie. Anzi, sottolinea lo storico, in alcune aree le tensioni etniche si inasprirono: «Gli ebrei continuarono a essere perseguitati, esattamente come lo erano stati durante la guerra. Dappertutto le minoranze divennero di nuovo obiettivi politici, e in qualche zona ciò portò ad atrocità altrettanto ripugnanti quanto quelle commesse dai nazisti». Un continente selvaggioIn sostanza, è la tesi di Lowe, quella dell’Europa nell’immediato dopoguerra non fu una storia di ricostruzione e riabilitazione, ma piuttosto «una storia di sprofondamento nell’anarchia. E questa è una storia che non è mai stata scritta veramente». In effetti gli studi che affrontano il periodo post bellico prendono in esame un arco di tempo molto più ampio dei cinque anni — approssimativamente dal 1944 al 1949 — presi in considerazione da questo libro. Un’opera importante, quindi, che tenta di colmare in parte la lacuna. Perciò nella lettura non ci si imbatterà ad esempio nei processi di Norimberga, o nel piano Marshall, perché l’attenzione è concentrata su un momento precedente, «quando la maggior parte dell’Europa era ancora estremamente volatile, e la violenza poteva divampare di nuovo alla minima provocazione. In un certo senso — ammette Lowe — io tento l’impossibile: tento di descrivere il caos». Un tentativo che — eludendo il rischio di rimanere impigliato in una ristretta visione occidentale, prevalente nella maggior parte degli studi su questo periodo — coglie nel segno attraverso un racconto minuzioso, vivido, a tratti agghiacciante, delle vendette, delle rappresaglie, delle pulizie etniche che continuarono a insanguinare l’Europa. Il tutto con due scopi dichiarati dallo stesso Lowe. Il primo è «sostenere che questi furono in realtà gli ultimi spasmi della seconda guerra mondiale, e in molti casi costituirono un trapasso quasi senza soluzione di continuità all’inizio della Guerra Fredda». Il secondo, «forse il più importante, è di illuminare un sentiero attraverso il labirinto di miti che si sono diffusi sul dopoguerra. Molti dei “massacri” su cui ho investigato — spiega lo storico — si rivelano, a un più attento esame, molto meno drammatici di quanto siano di solito rappresentati. Allo stesso tempo, alcune atrocità assolutamente sbalorditive sono state rabberciate, o sono andate semplicemente perdute sotto la ramazza di altri avvenimenti storici. Se forse è impossibile scoprire l’esatta verità che sta dietro ad alcuni di questi eventi, è almeno possibile eliminare alcune delle falsità».Sono quelle falsità usate da quanti ancora oggi vogliono sfruttare odio e risentimento a proprio vantaggio, cercando di distorcere il giusto equilibrio della storia. Da loro mette in guardia in ultima analisi Lowe, che chiede uno sforzo di onestà intellettuale: «Dobbiamo mostrare come visioni concorrenti della storia possono esistere l’una accanto all’altra. Dobbiamo mostrare come le passate atrocità s’inquadrano nel loro contesto storico, e come la vergogna non sia di una parte soltanto ma di tutte le varie parti. Dobbiamo sforzarci sempre di scoprire la verità, soprattutto quando si arriva alle statistiche e la verità diventa incontrovertibile. Dopotutto, è storia, e non le si dovrebbe consentire di avvelenare il presente».
(©L'Osservatore Romano – 4 aprile 2014)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :