Qualche tempo fa un mio amico mi faceva notare che oramai non ci sono più sport che si salvano dai tifosi chiassosi, caciaroni e inopportuni.
Una volta c’erano discipline, come il tennis e il golf, che venivano seguite in silenzio quasi religioso. C’erano dei comportamenti che venivano ritenuti “consigliati e opportuni”: silenzio sugli spalti, applausi e non strepiti, poche pagliacciate, niente coppiette che limonavano duro sotto gli obiettivi delle telecamere, niente boccali di birra consumati panza all’aria etc etc.
Da qualche anno le cose son cambiate, e assistiamo ovunque a coretti, scenette tragicomiche, tifo calcistico e altre piacevolezze.
Non si tratta di lesa maestà, non pensate male. In fondo a me di quel che fa la gente sugli spalti frega assai poco. L’unica cosa che mi dà veramente fastidio è questa dilagante tendenza a farsi sempre vedere, a fare casino e rumore.
Sarà che sto invecchiando.
Sarà che la società viene oramai plasmata a immagine e somiglianza dei social network.
Ovviamente questo post non vuole parlare soltanto di sport.
Il rumore di fondo è una costante di tutti i contesti.
Basta vedere un qualunque ambito creativo, per trovare critiche urlate, spesso deliranti, quasi sempre isteriche. Dischi, libri, film: nulla si salva dall’opinionista-tifoso.
Il desiderio di dire la propria, spesso senza avere le qualifiche minime indispensabili per farlo (per esempio lucidità, conoscenza minima della lingua italiana e strumenti di paragone e giudizio), è una sorta di droga diffusa oramai in maniera globale.
Consci di come vanno le cose, i grandi esperti di comunicazione hanno approfittato della situazione, tanto che oramai TUTTO è sottoposto al giudizio del pubblico, dai viaggi ai ristoranti.
Beh, ma questo è un male?
In senso assoluto direi di no, anzi: è un buon modo per dare spazio alla meritocrazia.
Peccato che, passando al lato pratico, buona parte dell’esercizio di giudizio si limita appunto al solo tifo sguaiato. Moltissime persone dotate di una qualunque connessione al Web si sentono ogni giorno in dovere di criticare qualunque cosa.
Un caso limite è quello di Twitter, che negli ultimi due anni è diventato (in Italia) una sorta di bar-sport in cui chiunque sputa sentenze su programmi televisivi, cantanti e (ovviamente) politica.
Dire che la libertà di espressione dovrebbe essere limitata è ovviamente antidemocratico, probabilmente anche sbagliato.
A me però questa bulimia di opinioni su qualunque sciocchezza, finanche la marca della carta igienica o i biscotti della colazione, inizia a creare un certo fastidio.
Il brusio di fondo è crescente e confuso. Perde di utilità nel momento stesso in cui diventa soltanto futile tifo, così come han fatto diventare un’arena di hooligans il confronto politico. Quest’ultimo non è mai stato particolarmente sereno, ma i livelli di certe idiozie lette in Rete negli ultimi anni non ha precedenti.
E se la soluzione fosse mettersi – metaforicamente parlando – dei tappi nelle orecchie e spegnere buona parte di questo inutile chiacchiericcio?
- – -
(A.G. – Follow me on Twitter)