Che la ’ntricata foresta dintra alla quali lui e Livia si erano vinuti ad attrovari, senza sapiri né pircome né pirchì, fosse virgini non c’era nisciun dubbio pirchì ’na decina di metri narrè avivano viduto un cartello di ligno ’nchiovato al tronco di un àrbolo supra il quali ci stava scrivuto con littre marchiate a foco : foresta vergine. Parivano Adamo ed Eva in quanto erano tutti e dù completamenti nudi e si cummigliavano le cosiddette vrigogne, le quali, a pinsarici bono, non avivano nenti di vrigognoso, con le classiche foglie di fico che si erano accattate da ’na bancarella all’entrata a un euro l’una ed erano fatte di plastica. Siccome erano rigide, davano tanticchia di fastiddio. Ma quello che cchiù fastiddiava era il caminare a pedi nudi.A mano a mano che Montalbano procidiva, sempri cchiù si faciva pirsuaso che in quel posto c’era già stato ’na vota. Ma quanno? La testa di un lioni ’ntravista ’n mezzo all’àrboli, che non erano àrboli ma felci gigantesche, gli fornì la spiegazioni.«Lo sai, Livia, dove ci troviamo ?».«Lo so, in una foresta vergine. C’era il cartello».«Ma si tratta di una foresta dipinta !».«Come dipinta ?».«Siamo dentro al Sogno di Yadwigha, il celebre quadro di Rousseau il Doganiere !».«Ma ti sei ammattito?».«Vedrai se non ho ragione, tra un poco dovremmo imbatterci in Yadwigha».«E come mai conosci questa donna ?» spiò Livia sospittosa.E ’nfatti, doppo picca, s’imbattero in Yadwigha che, a vidirli, sinni ristò supra al divano, stinnicchiata nuda com’era, ma si portò l’indici al naso facenno ’nzinga di stari ’n silenzio e dissi:«Sta per cominciare».È un suono di un uccello a risvegliare dal sonno il commissario Montalbano, uccello che poi si rivela essere un vagabondo che, con la sua voce intonata, fischia sulle notte della canzone cantata da Mina, “Il cielo in una stanza”. Uno strano vagabondo, gentile, istruito, che vice in una grotta sulla collina vicino la casa di Montalbano a Marinella e che, nel finale della storia avrà pure un ruolo fondamentale nel far arrivare alla verità il commissario. Un covo di vipere è però la storia di un inchiesta, che parta dall'omicidio del ragionier Cosimo Barletta, vedovo di 63 anni. Trovato morto nella sua casa di campagna dal figlio, Arturo. Una strana morte, perché, come rivela a Montalbano il sempre irascibile dottor Pasquano, Cosimo Barletta è stato ucciso due volte. Perché prima che qualcuno lo sparasse, lasciandolo sotto il tavolo della cucina con la tazza del caffè rovesciato, era già senza vita. Avvelenato, e paralizzato, probabilmente per qualcosa ingerito proprio in quella tazza di caffè. Come è possibile? Due omicidi per la stessa persona? Chi era allora questo ragioniere Barletta? Le indagini partono dall'interno della sua famiglia e dalle poche prove trovate sulla scena del delitto. Sul letto, dove l'anziano passò l'ultima notte, tre capelli biondi. I figli, Arturo e Giovanna, rivelano che il padre aveva la passione per le ragazze giovani, belle ragazze con cui il padre era anche ben generoso, durante queste brevi relazioni.
Man mano che si scava nella vita del morto, però si scopre una realtà ben diversa da quella dell'uomo rispettabile: Barletta non solo amava le giovani ragazze, ma era pure un usuraio, uno di quelli che prestano soldi a persone in difficoltà, facendosi pagare gli interessi a caro prezzo. Spesso, facendosi pagare anche in natura. E in questo ambito che vanno cercate le ragioni dell'omicidio?
Montalbano, con l'aiuto di Fazio e Augello, scoprono che il morto aveva conservato una vera e propria collezione di foto delle giovani amanti: immagini prese, anzi rubate, proprio nei momenti intimi. Oltre a questo, vengono ritrovate alcune lettere: oltre ad un paio, provenienti da sue vittime, altre, scritte da una donna. Raccontano di una storia d'amore, nata lontano nel tempo.... Una passione malata del padre, ma è tutta la famiglia ad essere un vero e proprio “covo di vipere”: fratello e sorella non fanno altro che scambiarsi in modo velato delle accuse, per fari ricadere sull'altro le prove della colpevolezza. Per colpa di un testamento apocrifo, che avrebbe favorito l'uno a discapito dell'altro (dei figli), che però non si trova. La verità arriverà addosso a Montalbano come un macigno, come un peso che sarà difficile sopportare: a questa arriverà anche grazie a Mario, l'uomo della caverna, con cui ha instaurato (lui e Livia, l'eterna fidanzata) un certo rapporto confidenziale:
“No, Montalbà, arrefutati con tutte le tò forze, chiui ogni passaggio all'orribili pinsero che sta tintando di forzari il tò ciriveddro gli sbarramenti che gli metti davanti. Non gli lassari 'na strittoia, un varco, 'na minima fissura, massanò sprofunni in uno sbalanco 'nfirnali. Stordisciti, finisciti il whisky che ancora c'è nella buttiglia, 'mbriacati, oppuro scinni nella pilaja e mettiti la testa sutta la rina per non vidiri, per non sintiri, come fanno gli struzzi ..”.No, quella verità non potrà essere contata a nessuno, forse nemmeno a Livia, di cui Montalbano inizia a sentire la mancanza e un senso di solitudine quando non è lì con lui. La scheda del libro sul sito di Sellerio. Il sito di Vigata, dove potete trovare l'incipit del libro.
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