di Michele Forastiere*
*professore di matematica e fisica
Il mio libro è il frutto di diversi anni di riflessione personale su quelle domande fondamentali che ognuno di noi si pone almeno una volta nella vita: chi siamo, da dove veniamo, perché esiste il mondo – insomma, le questioni dell’origine e dell’evoluzione dell’Uomo e dell’Universo. Per una sorta di deformazione professionale (sono un fisico) non ho potuto fare altro che affrontarle da una prospettiva rigorosamente galileiana. Ora, chiunque si ponga l’obiettivo di scandagliare scientificamente il problema dell’origine si imbatte inevitabilmente nella teoria evolutiva attualmente più diffusa e accreditata: la Sintesi Moderna dell’evoluzione, discendente diretta e aggiornata della celebre teoria della selezione naturale di Charles Darwin (“L’origine delle specie mediante selezione naturale, ovvero la conservazione delle razze favorite nella lotta per la vita”, 1859).
È nota più o meno a tutti – nelle sue forme più varie, da quelle serie a quelle scherzose – l’immagine della “marcia del progresso umano” che scaturì dall’opera successiva di Darwin relativa alla comparsa dell’Uomo sulla Terra (“L’origine dell’Uomo e la selezione sessuale”, 1871): immagine che suggerisce, in modo schematico ma efficace, l’idea della discendenza dell’Uomo da un antenato scimmiesco (sebbene si dovrebbe dire più correttamente, secondo i biologi evolutivi, che l’Uomo e le scimmie moderne discendono da un antenato comune ormai estinto).
Credo sia altrettanto noto il fatto che la teoria di Darwin suscitò fin da subito aspre polemiche, in parte perché si pensò che infliggesse un duro colpo all’immagine dell’Uomo come signore e padrone della Natura, ma soprattutto perché negava apertamente l’immagine della Creazione biblica dell’Uomo dal fango. In realtà, il fastidio fu provato principalmente da parte delle varie confessioni protestanti legate a un’interpretazione letterale della Bibbia, mentre va sottolineato il fatto che la Chiesa Cattolica non si pronunciò mai ufficialmente né sulla teoria di Darwin (di cui non mise mai all’Indice le opere) né sull’evoluzione in genere (fino al famoso discorso di Giovanni Paolo II del 1996, che “apriva” alla teoria scientifica dell’evoluzione).
Tuttavia, nel corso degli anni non ho potuto fare a meno di notare che molti continuano a usare la teoria di Darwin come argomento anti-teista. A questo punto io, da scienziato e credente, ho sentito la necessità di provare a capirci qualcosa di più rispetto a quanto imparato a scuola, sentito in TV e letto nelle riviste e nei libri di divulgazione scientifica. È d’obbligo un’importante precisazione a quest’ultimo proposito. Quando si parla di “darwinismo”, si tende in genere a fare confusione tra il livello scientifico e quello filosofico. Diciamo subito che il darwinismo filosofico è un principio esplicativo della Realtà che è basato sul materialismo (nega quindi l’esistenza di Dio e di ogni forma di trascendenza); in quanto tale, dunque, è una rispettabile posizione metafisica – che però, in sé e per sé, non può ritenersi migliore o preferibile a qualunque altra posizione metafisica. Viceversa, il darwinismo scientifico (vale a dire, ogni teoria scientifica che si ispiri direttamente all’opera di Darwin) è uno schema interpretativo della porzione fisica della Realtà, che perciò deve rientrare nell’ambito della scienza galileiana.
Ora, è risaputo da secoli in filosofia che nessuna teoria scientifica (anche ammesso che sia stata verificata al di là di ogni possibile dubbio), è in grado di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di una parte di Realtà trascendente quella naturale (di cui la porzione fisica, quella esplorabile dalla scienza, è un sottoinsieme). Dunque, sbaglia gravemente chi pensa che il darwinismo scientifico possa portare acqua al mulino delle basi metafisiche di quello filosofico. Da scienziato, non da credente, atteggiamenti di questo genere mi sono sempre stati antipatici. Ho cercato allora di evidenziare, nel portare a termine il libro, a quali conclusioni filosofiche si possa lecitamente giungere a partire dallo “stato di fatto” delle attuali conoscenze sull’evoluzione biologica.
Vediamo innanzitutto quali sono le conoscenze oggi “scientificamente accertate” (in senso galileiano) sull’evoluzione biologica: la Terra si formò all’incirca quattro miliardi e seicento milioni di anni fa, in un angolo non particolarmente interessante della Galassia. Appena nato il nostro pianeta era un posto molto sgradevole, del tutto inadatto a ospitare la vita. Per dirne una, era sottoposto a un incessante bombardamento di meteoriti e comete, che ne rendeva la crosta incandescente. Gli oceani primitivi apparvero subito dopo che la temperatura scese abbastanza da permettere la condensazione dell’acqua. Questo succedeva più o meno tre miliardi e seicento milioni di anni fa; solo cento milioni di anni dopo proliferavano già i primi organismi unicellulari. È fuori di dubbio che qualcosa sia cambiato, da allora a oggi: forme viventi diversissime si sono avvicendate sulla scena nelle successive ere geologiche; hanno prosperato per un po’, recitando il loro ruolo nel dramma della vita; poi hanno finito per cedere il passo a nuovi attori. Le prove scientifiche di questa vicenda inesauribile sono assolutamente schiaccianti e provengono da varie aree di ricerca, che spaziano dalla biologia alla paleontologia, dalla chimica alla fisica delle particelle. [da “Evoluzionismo e cosmologia”, pag. 11]
Vi sarebbe poi da aggiungere l’innegabile constatazione che questa lunghissima vicenda ha portato, infine, alla comparsa sulla scena di un’unica specie animale dotata di intelletto, di linguaggio simbolico, di progettualità: l’Homo sapiens sapiens. In questo video si può vedere come viene normalmente divulgata la teoria dell’evoluzione darwiniana (N.B.: il video è stato pubblicato nella sezione “A ragion veduta” del sito UAAR). Questo, si può dire, è con buona approssimazione il modello evolutivo rappresentato dalla Sintesi Moderna a partire all’incirca dagli anni ‘50. Raccontata così, la storia appare assolutamente pacifica e assodata – sembrerebbe che nulla vi sia da aggiungere o modificare. Comunque, tale e tanta fu considerata la forza esplicativa di questo schema, da spingere il filosofo Jacques Monod a scrivere (nel suo testo fondamentale “Il Caso e la Necessità”, del 1971): «[Le alterazioni nel DNA] sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione [...]. Possiamo affermare, in definitiva, che la teoria darwiniana ha i suoi capisaldi nel Caso e nella Necessità: la variazione casuale lenta e graduale dei caratteri attraverso la modificazione del patrimonio genetico (Caso) e la selezione naturale nelle sue varie forme, compresa quella sessuale (Necessità)».
Va detto che molti biologi evolutivi e filosofi della scienza sostenitori del materialismo hanno avuto gioco facile a sconfinare nella metafisica, ispirandosi alle concezioni di Monod. Il loro ragionamento si può riassumere più o meno come segue: “Se il vero motore dell’innovazione biologica è la variazione lenta e casuale dei caratteri, così come emergono dagli errori di copiatura e mutazioni del DNA, allora non è possibile rintracciare nella Natura un Disegno di cui l’Uomo sia l’oggetto, e dunque Dio o non esiste o non si interessa a noi. L’Uomo è solo il risultato di un cieco meccanismo generatore dei cambiamenti, giunto per puro caso a superare in intelligenza e capacità ogni altro essere vivente”. Già a questo livello basilare si può tuttavia comprendere che, se anche lo schema di Monod fosse vero, non sarebbe lecito trarre una simile conclusione metafisica. In altre parole, non è possibile escludere l’esistenza di un Creatore – in particolare, di un Creatore onnisciente e provvidente che agisce nel mondo in modo misterioso per “cause seconde” (conformemente alla concezione filosofica di san Tommaso d’Aquino) – tirando in ballo semplicisticamente il “Caso”. Quella del Caso, infatti, è una categoria “filosofica” dietro cui è sempre possibile nascondere la semplice ignoranza di una serie di concause sconosciute. Si tratta, in effetti, di una verità arcinota a chi si occupa seriamente di evoluzione e che – se vogliamo – è testimoniata dal fatto che esistono molti biologi darwinisti cattolici (per citarne solo qualcuno, ricordiamo Francisco Ayala, Fiorenzo Facchini, Stanley Miller). D’altro canto, lo stesso Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, il premio Nobel Werner Arber, è un convinto darwinista.
Per capire meglio questo concetto, proviamo a fare una semplicissima considerazione (in pratica, si tratta di una rivisitazione, al rovescio, di un argomento usato dallo stesso Darwin). Immaginiamo di studiare su un lunghissimo periodo una popolazione di pecore selvatiche che vivono in Scozia. È chiaro che si adatteranno meglio al freddo ambiente nordico quelle che si trovano ad avere per caso, fin dalla nascita, il vello più folto e lungo; dunque, è logico pensare che saranno più protette dal freddo e dunque si riprodurranno meglio queste ultime rispetto al resto del gregge, e le pecore a pelo più corto saranno eliminate da una lunga serie di inverni particolarmente rigidi. Si tratta, qui, di un caso di microevoluzione naturale: vale a dire, la comparsa di una nuova varietà all’interno di una specie. Ora: se a selezionare volontariamente le pecore, tramite incroci, ci fosse stato un pastore scozzese allo scopo di ottenere una maggiore produzione di lana (microevoluzione guidata), in che modo si potrebbe distinguere il risultato finale del processo naturale da quello guidato? Insomma, supponiamo di imbatterci, passeggiando in una fredda brughiera del nord, in una bella pecora lanosissima; ebbene, credo che senza maggiori informazioni non riusciremmo a capire se essa appartiene a una razza ottenuta tramite allevamento o ad una adattatasi all’ambiente nel corso di molte generazioni.
Ora, il darwinismo considera la macroevoluzione, cioè la comparsa di VERE innovazioni – nuovi organi (per es. l’occhio), nuove funzioni (per es. la respirazione aerea), nuovi piani corporei (per es. lo scheletro interno) – soltanto come la somma di una lunghissima catena di diversificazioni microevolutive analoghe a quella appena descritta. Chi può dire, allora, se tutto questo immenso processo sia stato effettivamente spontaneo e casuale, e non invece voluto e misteriosamente guidato da un Creatore onnipotente, in un Universo dotato di una certa dose di “libertà” di fondo? Qui si possono fare – e, credetemi, sono state fatte! – tante ulteriori considerazioni, sottilissime e profonde; tutte, però, portano alla stessa identica conclusione: in nessun caso, nemmeno se la validità scientifica della teoria darwiniana dell’evoluzione fosse provata al di là di ogni possibile dubbio, sarebbe possibile escludere a priori l’esistenza di un Creatore provvidente.
Vediamo perché. Intanto, la variazione casuale e la selezione naturale devono pur agire su degli esseri viventi già “funzionanti” e capaci di riprodursi; dunque, procedendo all’indietro nel tempo verso antenati comuni via via più semplici (secondo lo schema darwiniano dell’albero della vita che si arricchisce di rami col passare del tempo, per differenziazioni successive delle specie viventi) si deve giungere per forza ad un Primo Antenato semplicissimo, ovvero ad un primo meccanismo riproduttivo biochimico distinto dalla materia inanimata: e di quest’ultimo, a tutt’oggi, la scienza non sa dire assolutamente nulla. In altre parole, la scienza non può escludere a priori l’intervento di una Volontà creatrice che abbia portato all’esistenza il più antico antenato comune di tutti i viventi.
Ancora, se pure un domani la scienza dovesse arrivare a confermare che tale “Primo Antenato” possa essere comparso spontaneamente dalla materia inanimata (vale a dire, solo per effetto di processi fisico-chimici spontanei – che so, fulmini scatenati nel brodo primordiale per milioni di anni), si dovrebbe comunque riconoscere che le cause che ne hanno determinato la comparsa dipendono a loro volta da una catena di eventi che, andando all’indietro nel tempo (dalla formazione del Sistema solare, all’esplosione della supernova vicina che ha inseminato di elementi pesanti la nube primordiale da cui esso è derivato, alla condensazione della materia in galassie, alla separazione della luce dalla materia), conducono dritto dritto a quel primo evento che è noto come Big Bang e del quale la scienza non è in grado di individuare una causa immanente. La scienza moderna, perciò, non può in nessun modo escludere la possibilità che un Creatore onnisciente abbia liberamente voluto e posto in essere un Universo le cui stesse leggi fisiche avrebbero portato, a tempo debito, alla comparsa di una prima forma vivente, dalla quale alla lunga sarebbe poi scaturito un essere pensante “fatto a Sua immagine e somiglianza”.
In realtà si scopre che, al di là di queste semplici considerazioni, c’è molto di più da dire sul rapporto tra scienza e fede (più in generale tra ragione e fede): ed è quello che ho cercato di fare nel mio libro. Il fatto è che lo schema darwinista, per quanto apparentemente monolitico e inattaccabile, mostra con tutta evidenze crepe che si estendono dalla versione scientifica a quella filosofica. In primo luogo, bisogna osservare che, quando si parla di evoluzione biologica darwiniana – soprattutto di quella dell’Uomo – più che di CASO si dovrebbe parlare di CONTINGENZA. Risulta infatti empiricamente evidente che non è possibile spiegare l’intero complesso della macroevoluzione come una successione lenta e graduale di moltissimi passi elementari di microevoluzione (l’effetto, realmente osservato in pratica, del puro caso unito alla selezione naturale), dal momento che un gran numero di eventi macroevolutivi assolutamente cruciali nella storia della vita sono stati determinati da una serie di straordinari e irripetibili colpi di fortuna, non necessitati in alcun modo dalle condizioni precedenti. Tale constatazione, si badi bene, non è affatto di matrice creazionista, ma è ampiamente e “laicamente” accettata dalla maggior parte dei biologi evolutivi (a partire dal grande paleontologo Stephen Jay Gould).
Vediamo dunque qualcuno dei colpi di fortuna che hanno portato alla comparsa dell’Uomo – inteso come essere vivente capace di osservare il mondo e di porsi domande su di esso (lasciando per il momento da parte la straordinaria “fortuna” che ha portato alla nascita del primo meccanismo di riproduzione biologica dalla materia inanimata, la cosiddetta abiogenesi):
a) Comparsa della fotosintesi, quindi separazione dei viventi in autotrofi ed eterotrofi. In mancanza di ciò, non si sarebbe mai potuto instaurare una catena alimentare completa (carnivori-erbivori-vegetali-detritivori; ovvero: produttori-consumatori-decompositori), né del resto si sarebbe mai potuto produrre l’ossigeno destinato a fornire energia agli animali superiori: tutto sarebbe finito miliardi di anni fa.
b) Comparsa delle cellule con nucleo e degli organelli cellulari, secondo la teoria della endosimbiosi di Lynn Margulis. In mancanza di ciò, non sarebbero mai potute esistere cellule abbastanza efficienti (dal punto di vista energetico, ma non solo) da poter dare origine agli organismi superiori.
c) Differenziazione “esplosiva” di organismi viventi complessi all’inizio del Cambriano.
d) Evoluzione dell’occhio, avvenuta diverse volte nel corso delle ere in gruppi di animali imparentati solo alla lontana.
e) Estinzione, a causa di eventi catastrofici irripetibili, di interi gruppi (come i dinosauri) che, con ogni probabilità, non avrebbero mai potuto raggiungere un elevato livello di intelligenza individuale, e in particolare sviluppare un’intelligenza simbolica.
Nessuno degli eventi citati può essere spiegato mediante variazioni lente e graduali da qualcosa di preesistente, ma è stato unico e irripetibile, cioè contingente. Ora, se si prova a stimare la probabilità che la serie di tali eventi possa essere avvenuta per puro caso – ovvero, tramite le normali interazioni chimico-fisiche spontanee e rimescolamento casuale della materia dell’intero Universo nel corso di 14 miliardi di anni – si scopre che questa è talmente bassa, che il fatto che noi ci troviamo qui a riflettervi sopra è da considerarsi di per sé miracoloso (nel senso che comunemente si dà al termine). In altre parole, è come se l’Universo stesso avesse costantemente “cospirato”, “truccando le carte” fin dal Big Bang per far emergere l’Uomo dalla materia inanimata.
Dal punto di vista strettamente scientifico, questa osservazione ci porta a ritenere che, quasi certamente, o siamo i soli esseri pensanti nell’Universo (e in tal caso abbiamo il dovere di continuare a chiederci come mai esistiamo, visto che la probabilità della nostra esistenza sfiora – anzi, tocca decisamente – l’impossibilità matematica), oppure devono esistere leggi specifiche della complessità biologica (non ancora scoperte) che regolano e guidano l’evoluzione ma che in qualche modo, necessariamente, trascendono la fisica e la chimica oggi conosciute.
Passando al piano filosofico, a cosa ci conducono queste considerazioni? A ben vedere, secondo me vi sono poche alternative:
a) se si dà per scontato il materialismo si deve necessariamente credere nell’Universo caotico, infinito ed eterno di Democrito, Epicuro e Giordano Bruno – naturalmente nella versione moderna di questo concetto, vale a dire il Multiverso. La credenza in tale Assoluto immanente, tuttavia, è in totale contrasto con la scienza e la ragione: ha lo stesso valore logico di una superstizione – indimostrata, indimostrabile e priva di senso.
b) se non si dà per scontato il materialismo vi sono due ulteriori possibilità:
1) Si può credere che l’evoluzione apparentemente “casuale” sia in realtà provvidenzialmente e misteriosamente guidata attraverso una successione di eventi contingenti – le “cause seconde” di San Tommaso – da un Creatore eterno (ed è quello che fanno i darwinisti credenti);
2) si continua ad andare alla ricerca di una teoria scientifica dell’evoluzione che non dipenda in modo tanto cruciale dal Caso come agente di innovazione biologica, così come fanno le teorie darwiniane.
Questo è quanto dicono la scienza e la filosofia. Come si vede, alla luce delle attuali conoscenze umane, non resta molto spazio per credere ragionevolmente in un Assoluto immanente, che per forza di cose dovrebbe essere eterno e infinito, e perciò stesso in contraddizione con la ragione umana. Credervi è certamente possibile: ma è bene essere consapevoli del fatto che si tratta di una credenza di valore equiparabile a quello di una superstizione.