Come si usa fare da queste parti, le settimane che precedono Halloween sono dedicate a una serie di articoli più o meno a tema.
Oltre a recensire film e libri “di paura”, la cosa che trovo più intrigante è approfondire l’argomento con articoli che trattano questa emozione – la paura – dal punto di vista del reale, e non da quello della finzione narrativa.
Perché sì, anche se un film o un romanzo possono causare dei veri e propri brividi, nulla inquieta di più che le vecchie storie di fantasmi tramandate di famiglia in famiglia, magari davanti al camino.
La mia passione per “l’orrore” è nata anche così, quando da piccolo degli amici di papà ci regalavano alcuni libri di folklore locale, racconti pieni di spettri vendicativi, diavoli, spiritelli, streghe. Roba da non dormire la notte, ma anche leggende popolari molto interessanti e affascinanti.
Sicché, mi chiedevo: cosa rimane di quelle suggestioni, oggigiorno?
La nostra società è cambiata radicalmente. Conosciamo quasi tutto, siamo diventati cinici ed estremamente materialisti. C’è sempre meno spazio per il trascendentale, per l’ignoto.
Le vecchie leggende di paese sono morte con gli anziani. Sopravvivono soltanto nelle zone rurali, ma anche lì non dureranno all’infinito, spazzate via da orde di turisti della domenica, pronti a portare i loro rumorosi SUV sui sentieri che una volta si diceva fossero percorsi da folletti e stregoni.
Solo che, Dio volendo, basta poco per aver paura ancora delle cose dimenticate dei tempi che furono.
Basta sbagliare strada in montagna, in un punto dove il navigatore non prende, e trovarsi a girovagare in un posto dove le persone ti guardano con fare minaccioso. Perché lì TU sei l’estraneo.
Oppure provate a percorrere il padiglione di un ospedale – un qualsiasi ospedale – dopo il buio. Quando l’orario di visita è finito, e voi siete ancora lì, per diosasolocosa, e vi tocca pure cercare lo studio del dottor X, girovagando per i corridoi che sanno di disinfettante e di malattia.
Fa paura anche aspettare il treno di notte, magari in una di quelle stazioni piccole e periferiche, dove non c’è mai nessuno. Blocchi tristi di cemento e acciaio, circondati da più lati da bui campi coltivati e da villette solitarie.
Vogliamo parlare del caro, vecchio brivido lungo la schiena quando vi tocca scendere in cantina di notte, magari quando siete soli in casa?
Oppure, cosa orrenda, del telefono che squilla nel bel mezzo del sonno, con tutto il carico impareggiabile di inquietudini e timori che quello sgradevole suono riesce a generare.
Fa paura il diverso, quando te lo trovi faccia a faccia, da solo, al tramonto. Che poi è una cosa brutta da ammettere, ma sfido chiunque a non avere un piccolo sussulto se sul vagone deserto di una metropolitana vi trovate di fianco una vecchia zingara deforme che vuole leggervi la mano.
Inquieta il rumore che fanno i mobili vecchi di notte, quando dormite in una casa che non è la vostra, ospiti di una persona che forse non conoscete bene come credevate.
Perturba venire a sapere che nel posto in cui vi trovate sono accadute morti violente. E’ come se per un momento ve le sentiste addosso, tutte quelle disgrazie non naturali.
Ci si spaventa quando la macchina decide di fare i capricci, e in giro non c’è nessuno (nessuno di rassicurante), perché è agosto, oppure notte, oppure perché ci si trova in una zona al di fuori dei nostri giri abituali.
Potrei proseguire a lungo, ma credo di aver reso l’idea.
Queste, per inciso, sono tutte situazioni che mi è capitato di vivere in prima persona.
E a voi, cosa inquieta, di quel mondo a cavallo tra il reale o lo sconosciuto?
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