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Un episodio di vita vissuto nel 1968

Da Dino Licci

Un episodio di vita vissuto nel 1968
Era il 28 Febbraio 1968 ed io arrivai a Roma di prima mattina. Avevo viaggiato tutta la notte in un treno proveniente da Lecce, ripassando pagine di zoologia perché ero convinto di dover sostenere un esame. M’incamminai a piedi dalla stazione Termini verso l’Università ma mi accorsi subito che qualcosa non quadrava . C’era un insolito fermento e camionette della polizia sfrecciavano in continuazione da via Castro Pretorio al viale dell’Università, mentre gruppetti di studenti parlavano concitatamente facendomi giungere all’orecchio frasi che ormai da mesi circolavano in quella zona popolata dai futuri dottori. Andai di corsa a casa per rimettermi in sesto e tornai nei pressi dell’Università con una certa apprensione sia per la preoccupazione degli esami, sia per quella strana atmosfera che si era creata lì intorno. Mi fermai cercando di capire dove corresse tutta quella folla di giovani colleghi e mi unii ad un corteo che diventava sempre più numeroso cercando d’informarmi della ragione della protesta. Nessuno però sembrava darmi retta. I manifestanti urlavano a squarciagola e sempre più numerosi.”D’Avack vattene, D’Avack vattene” e , per chi non lo sapesse D’Avack era il rettore della “Sapienza” che era oggetto di grandi contestazioni. Seguendo il corteo e sentendomi quasi fiero di appartenere a quella che credevo una semplice contestazione, mi fermai a prendere un caffé nei pressi di piazza della Repubblica, la piazza dell’Esedra dove troneggia la meravigliosa fontana delle Naiadi. Proprio nel bar cominciai a capirci qualcosa dai discorsi degli avventori che, loro malgrado, mi chiarirono molte idee. Mancavo da un paio di mesi da Roma e tutto preso dai miei studi scientifici, avevo sottovalutato quella strana protesta che parlava di sei politico, di esami di gruppo, di rivoluzione ed utopia, insomma tutto ciò che avrebbe caratterizzato il ’68, la peggior iattura che possa capitare in una Nazione. Si contestava il lavoro, si contestava l’impegno, si contestava lo studio, si contestava l’esame, si contestava tutto ciò che fa crescere culturalmente e concretamente un paese. L’utopia, l’immaginazione al posto del lavoro, l’eros al posto dello studio. Si contestavano perfino gli operai integrati nel sistema come dicevano le teorie di Marcuse: si contestavano Marx ed il capitalismo, l’Unione Sovietica come gli Stati Uniti d’America, la fabbrica e l’università, incitando studenti ed emarginati alla rivolta contro ogni forma di governo, contro ogni democrazia perché, diceva Marcuse, il lavoro è alienante e Freud sbagliava quando consigliava di dirottare le forze dell’eros verso il lavoro. Si contestava persino Epicuro perché limitava il piacere individuale rovinato dal bisogno di lavorare in quanto solo le macchine, in una civiltà avanzata, dovevano lavorare, lasciando liberi gli individui di dar sfogo al loro eros, alla loro fantasia, alla loro immaginazione. Gli esami non dovevano essere individuali ma sostenuti da un gruppo di lavoro che poteva nascondere al suo interno anche gente che non aveva mai aperto un libro, mai seguito una lezione, ma che poteva benissimo prendere una laurea come davvero avvenne sfornando, soprattutto nelle facoltà di architettura, professionisti adatti a far crollare le case ma soddisfatti delle loro” immaginazione”. Ancora oggi permangono nella società gruppetti di sapientoni che, sempre col sorrisetto ironico sulle labbra, ironizzano sulle regole, sull’impegno, sulla tradizione, sui canoni, scegliendo l’offesa gratuita ed il facile sarcasmo al posto di una sana dialettica. Ormai documentatomi su quanto stava accadendo, mi avviai ancora verso il corteo che aveva imboccato via Nazionale cercando un mio amico che avevo intravisto tra la folla, ma era arduo ritrovarlo in tanta confusione. Improvvisamente dalle strade laterali di via Nazionale, sbucarono camionette della polizia, idranti ed una quantità enorme di agenti armati di manganelli che cominciarono, devo dire senza alcun preavviso, a menar botte da orbi, seguendo gli studenti fin sopra i marciapiedi in un crescendo di violenza senza limiti. Gli studenti rovesciavano le auto ed io inconsciamente, levai urla contro i poliziotti che continuavano a caricare in un carosello infinito che ancora m’impressiona. I commercianti abbassavano, anche loro colti di sorpresa, le saracinesche e fu proprio un negozio a salvarmi perché m’infilai dentro una gioielleria proprio mentre le porte si chiudevano evitando per un soffio lo scontro con una “celere” che mi aveva puntato. Rileggendo, a distanza di tanti anni, le cronache di quella giornata, ho appreso che furono impiegati per l’occasione 2000 agenti, oltre a 18 camion, idranti e numerosissime camionette ma, rivivendo con la giusta ansia quei terribili momenti, ora che ho i capelli bianchi, non posso non infierire contro gli speculatori dell’esuberanza giovanile che, per la grande maggioranza , seguivano il corteo senza conoscere i dettami di filosofi e le mire dei burattinai che sconvolsero l’Europa intera con insegnamento utopici ed irrealizzabili ma capaci di sovvertire l’ordine delle cose. E chi non ci crede si legga attentamente, ma molto attentamente l’insegnamento di Marcuse.

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