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Un estratto dall'ebook "Nessun Tempo, Nessuno Spazio"

Da Nino Bonaiuto @cambiaremente
Quello che segue è un estratto dal capitolo 3 dell'ebook "Nessun Tempo, Nessuno Spazio" di recente pubblicazione. In questo passo il saggio Viktor si sofferma sui problemi della salute e della guarigione. Valerio, il protagonista, è un medico, per cui gli è difficile accettare le idee "eretiche" esposte dal vecchio maestro. 
da "Nessun Tempo, Nessuno Spazio":
«Fammi pensare... Molta gente pensa che quando si diventa vecchi la salute si deteriora, insieme con tutte le facoltà fisiche e intellettive, non è così?», chiese.«Mi sembra ovvio», risposi con una certa sicurezza.«Ecco: quella è una convinzione fortemente limitante, che non ha alcun valido fondamento», disse con nettezza. «Gli anziani che coltivano questa convinzione corrisponderanno esattamente alle loro attese. Quelli che invece contestano questa sciagurata opinione corrente, avranno una vecchiaia piena di vigore e di salute».«Non ti sembra che questo sia un po’ troppo ottimistico?», dissi, sfidandolo.Rise di cuore.«No, è davvero così. Guardami, sono la prova vivente di quello che dico. Non mi ammalo mai e faccio tante di quelle attività che da giovane nemmeno mi sognavo».Effettivamente sembrava sprizzare gioia di vivere da tutti i pori. Non riuscivo a capire da dove prendesse tutta quell’energia.
«Da noi, in Occidente, la gioventù è guardata come l'età più bella, quella in cui l’uomo raggiunge il massimo splendore, mentre la vecchiaia è vista come un’epoca di decadenza fisica e mentale.Un anziano che accetta questo modo di pensare, inibirà le forti pulsioni di creatività, che letteralmente esplodono alla sua età, esattamente come avviene negli adolescenti. Porrà così le basi per una sua sicura e precoce decadenza fisica, proprio secondo le sue attese.In più, per via di altre convinzioni condivise, l'anziano spesso rifiuterà le terapie naturali, imbottendosi di farmaci, che lo stordiranno e bloccheranno ulteriormente la sua creatività».
«Parlavi di una creatività negli anziani simile a quella degli adolescenti. A cosa ti riferivi?», interloquii.
«L'anziano va incontro a un ampliamento della coscienza, i suoi orizzonti si allargano, la sua comprensione diventa più completa.In virtù dei condizionamenti sociali, però, l’anziano cercherà di nascondere questa sua nuova “sapienza” e ne reprimerà le espressioni, che verrebbero viste dagli altri come segni di senilità e di rimbambimento. Le convinzioni diffuse sulla vecchiaia sono fortemente limitanti: l’anziano, per la nostra società dovrebbe essere compassato, serio, possibilmente di mentalità rigida. L’esplosione della consapevolezza da parte dell’anziano è dovuta al fatto che egli si sta preparando a una nuova nascita.Le convinzioni limitanti sono anche la causa del peggioramento della salute cui molte persone anziane vanno incontro. Se accettassero la loro vecchiaia semplicemente come un’altra stagione della vita, potrebbero rimanere in ottime condizioni fisiche e di salute e gioire degli anni che ancora rimangono loro della vita terrena».
«Sai, Viktor? Ascoltandoti mi rendo conto delle tante storture che la nostra società si porta dietro, senza che ce ne rendiamo nemmeno conto», commentai.
«E’ vero. La società di oggi, per certi versi, non fa altro che costruire prigioni mentali, ma non è stato sempre così. I vecchi nelle antiche civiltà, proprio per questa loro aumentata capacità percettiva, erano considerati i detentori di una saggezza superiore. D'altro canto anche negli Stati moderni ci sono delle soglie di età minime, da superare per essere eletti a certe cariche, penso al Senato di vari parlamenti nazionali...».
«In Italia uno non può fare il presidente della Repubblica se non ha superato i 50 anni, è scritto in Costituzione e nessuno ha mai messo in discussione questo principio», dissi, per confermare la sua affermazione.«Vedi?», commentò Viktor, sorridendo. Poi riprese: «In vecchiaia, quando si avvicina la morte, il Sé cerca di svincolarsi dalla focalizzazione nel mondo fisico. Mentre negli anni della giovinezza, l’identificazione con la realtà materiale è assoluta e necessaria, per vivere completamente le esperienze terrene, in vecchiaia, dopo che tutte le faccende sono state sistemate, tutte le esperienze sono state fatte, la mente cosciente sente l'esigenza di riconnettersi al Sé Superiore, immateriale, per dare finalmente libero sfogo alla sua creatività.L’anziano che non accetta il pensiero predominante e si libera da tutti i condizionamenti, potrà vivere una seconda adolescenza, dove le enormi doti di saggezza del Sé Superiore si esprimono liberamente.Anche le modifiche ormonali spingono l'anziano ad ampliare la sua esperienza.La vecchiaia – al pari dell'infanzia – è un'età molto creativa. La mente ha giocato con la realtà per un periodo molto lungo, a volte troppo lungo, per cui ora cerca di svincolarsi dal mondo illusorio».
«Vuoi dire che l’anziano comincia a non essere più tanto presente a se stesso? In Italia si dice che uno “non ci sta più con la testa”...». Non ero sicuro di aver capito bene.
«L’anziano è più libero dal mondo materiale e da tutte le sue limitazioni. Per tutti gli altri, quelli che sono ancora completamente immersi nell’esperienza fisica, certi suoi comportamenti e certi suoi modi di pensare sono decisamente stravaganti», spiegò.
«Si dice anche che da vecchi si ritorna bambini», interloquii.
«Bambini e vecchi sono entrambi vicini alla stagione in cui il Sé non è strettamente limitato dalla materia. I bambini ancora non hanno dimenticato la loro dimensione più ampia, mentre i vecchi si preparano a riacquistarla, dopo la morte del corpo fisico».
Guardai l’orologio, erano già le quattro, il sole fuori era ancora alto, sarei stato ad ascoltarlo ancora per un po’, poi avrei dovuto raggiungere l’albergo a Ouranopolis per cenare e trascorrervi la notte.
«E’ tardi?», chiese educatamente.«No, no... ti prego, continua».
«Le persone che pensano di essere cagionevoli di salute e sostanzialmente “malaticce”, effettivamente si ammaleranno a ogni ondata influenzale, a ogni spiffero d’aria. Oppure svilupperanno malattie croniche che avvaloreranno la loro convinzione, fino ai casi nei quali vengono provocate nel corpo le temibili malattie autoimmuni, “impossibili” da sconfiggere».
Quello era il mio campo, la medicina: «Ma se t’imbatti in un ambiente carico di batteri o virus, la carica microbica comunque avrà la meglio su di te e ti farà ammalare, non ci son santi!», lo interruppi. Da medico non potevo transigere su affermazioni così strampalate. Pensai che qui avesse “toppato”, che avesse torto marcio. «Le malattie cronico-degenerative, come il diabete, invece hanno origine negli stili di vita, nell’esposizione ai fattori di rischio e nell’ereditarietà. Certuni sono predisposti ad ammalarsi e hanno probabilità maggiori di altri, per via del loro corredo cromosomico», asserii con sicurezza.
«Fattori di rischio?», chiese Viktor.
«Certo! Chi fuma aumenta il rischio di ammalarsi di tumore ai polmoni! Il fumo è un fattore di rischio per molte patologie», affermai perentorio. Era il mio campo, diamine!
Viktor mi guardava e mi ascoltava con un sorriso indulgente. Quando ebbi finito, riprese a parlare, con pacatezza.«Mio nonno fumò per tutta la vita le sigarette peggiori, delle vere e proprie porcherie. E non usava nemmeno il filtro. Eppure ha vissuto fino a 93 anni, morendo di vecchiaia, buonanima. Come lo spieghi?», chiese con dolcezza.
Per un momento non seppi come rispondere, poi gli ricordai che il fattore di rischio è un concetto statistico e nei grandi numeri la diffusione di una certa malattia dipende dal peso dei fattori di rischio. A livello individuale significava che il nonno di Viktor, nonostante un rischio altissimo, era rientrato nella piccola percentuale di quelli che non sviluppavano la malattia, che riuscivano cioè a mantenersi sani, probabilmente a causa del fattore genetico favorevole.
«Il discorso potrebbe essere molto lungo», obiettò Viktor. «Se i fumatori vengono convinti che, a causa del loro “vizio”, la probabilità che possa “venirgli” il tumore ai polmoni aumenta, molti di loro concretizzeranno questa convinzione in realtà. Ecco come funzionano i fattori di rischio».
Le sue parole mettevano in crisi una delle convinzioni più forti che avevo. Ero molto turbato e combattuto.«In realtà, coloro che svilupperanno il tumore, lo faranno per dei buoni motivi, che riguardano la loro vita interiore e i conflitti irrisolti che si agitano nella loro anima», spiegò pazientemente.
La sua teoria era sicuramente molto suggestiva e affascinante, ma non riuscivo ad accettare un’idea così contraria alla mia formazione scientifica. Credevo fermamente nelle verità che avevo appreso dai libri, dai miei insegnanti ed anche dalla mia personale esperienza. Viktor avrebbe detto che la mia convinzione aveva prodotto un tipo di realtà che aveva confermato le mie attese. Stavo cominciando a entrare in sintonia con il suo modo di pensare.
«Te ne dico un’altra e poi smettiamo», annunciò il maestro, dandomi ad intendere che era stanco di parlare. «Se pensi che la gente ti disprezzi o sei convinto di essere una persona che non vale niente, incontrerai nella tua vita di ogni giorno persone superbe che non si faranno scrupolo di disprezzarti, di nascosto o addirittura in tua presenza».
Questa convinzione mi toccava più da vicino. Ero abituato a considerarmi un medico senza qualità particolari, uno dei tanti. Anche se studiavo e mi documentavo continuamente, dentro di me avevo l’impressione che tutti i miei colleghi ne sapessero più di me e che forse avrei fatto meglio a scegliermi un’altra professione.
«Ciascuno di noi ha talenti meravigliosi, ma se siamo convinti di essere dei “buoni a nulla”... beh, stiamo tagliando le nostre stesse ali, stiamo bloccando il naturale flusso della nostra creatività», concluse.
«Come si fa a scoprire quali sono le nostre convinzioni?», chiesi.
«Dobbiamo imparare a farci gli esami di coscienza, senza trascurare nessun pensiero, nessuna sensazione. Ciò che pensiamo, le emozioni che proviamo, forniscono delle indicazioni molto importanti sulla natura delle nostre convinzioni fondamentali.Se pensi che gli altri non ti prendano nemmeno in considerazione e provi disagio a questa idea, stai già scoprendo la tua prima convinzione limitante».
“Emozioni ci fanno scoprire convinzioni limitanti”, scarabocchiai sul taccuino.
«Ma attenzione ci sono diversi livelli di convinzione: dovrai diventare bravo a scavare fino a disseppellire le convinzioni più profonde, quelle di base. Se riesci a raggiungerle, le disinnescherai facilmente e tutte le convinzioni che da esse dipendevano cadranno da sole».
«Mi puoi fare un esempio?». Mi stavo perdendo, per imparare avevo bisogno di farmi in mente un quadro chiaro di quanto stava dicendo, in modo che mi rimanesse un'immagine viva; solo così l’avrei ricordata.
«Certo! Se sei ossessionato dalla sicurezza, probabilmente la tua convinzione più superficiale è che in giro c'è un numero spropositato di ladri, magari accresciuto a causa della crisi economica».
Mi guardava sorridendo; si divertiva a osservarmi mentre lo ascoltavo, rapito dalle sue parole.
«Non è vero che ci sono più reati di prima, è un’impressione non suffragata dai dati delle statistiche sociali. Ma se ti chiedi perché credi una cosa simile, scoprirai che la tua convinzione sottostante è che la maggior parte delle persone è malvagia ed egoista. Ancora più alla base troverai la paura degli altri, che ti è stata trasmessa – per il tuo bene - dai tuoi genitori in giorni lontani, che nemmeno ricordi più».
«Non ci avevo pensato...», sussurrai fra me e me.
«La paura è alla base di gran parte dei nostri problemi», continuò. «Per esempio, i comportamenti ossessivi e compulsivi sono dettati dalla paura. Gli ossessivi sono convinti di poterla scongiurare solo attivando i loro rituali. Le persone che si lavano in continuazione mettono in atto un rituale che – nella loro mente - li mette al sicuro dal pericolo delle infezioni».
«Fino ad ora avevo creduto che le malattie psichiatriche fossero dovute a un disequilibrio chimico a livello delle cellule nervose». Viktor sorrise e commentò: «Un disequilibrio chimico dovuto a certe convinzioni... Le due cose non sono in contraddizione».
«Ricevuto», dissi, laconicamente.
«Questo sulle convinzioni è un lavoro importantissimo», riprese. «Come t'ho già ripetuto più volte, dalle tue convinzioni profonde viene fuori la trama della tua realtà. Sai qual è la cosa più difficile?», chiese.
Feci cenno di no con la testa, impercettibilmente.
«Riconoscere le nostre convinzioni. La difficoltà sta nel fatto che non ci rendiamo conto delle convinzioni di base, poiché le diamo per scontate, come se fossero la vera realtà. Non le mettiamo mai in discussione, perché per noi corrispondono alla realtà dei fatti. La logica andrebbe letteralmente rovesciata: è la realtà dei fatti a essere in linea con quelle convinzioni, poiché ne è la conseguenza. Abbi il coraggio di mettere in discussione i principi base su cui hai fondato la tua vita, Valerio; ne avrai sorprese incredibili».
«Lo farò, Viktor», promisi. «Grazie».

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