Esiste una malattia chiamata iperplasia surrenale congenita (CAH) che colpisce un bambino su 15 mila. I feti che ne sono affetti hanno un difetto congenito che porta le ghiandole surrenali a continuare a produrre un ormone maschile anche dopo avrebbero dovuto fermarsi. Circa uno su 8 feti femminili colpiti sviluppa genitali con caratteristiche maschili. Alla nascita è difficile sia per i medici che per i genitori stabilire il sesso della bambina che deve essere sottoposta a intervento chirurgico per correggere le anomalie.
Ora, un gruppo di ricercatori di New York ha dimostrato l’efficacia di un farmaco, il dexamethasone, se assunto all’inizio della gravidanza da donne a rischio di mettere al mondo una figlia con la CAH, nel ridurre la probabilità di difetti anatomici. Pur con degli effetti collaterali, quali peso ridotto alla nascita, gola lupina o palatoschisi, ingrossamento del fegato e danni al sistema nervoso centrale, come evidenziato da studi su feti animali.
Le bambine con la CAH sono in genere dei maschiacci, da adulte scelgono di non avere figli e hanno maggiori probabilità della media di essere omosessuali o bisessuali. Il farmaco, dunque, può influenzare le future preferenze sessuali delle bambine trattate, impedendo anche lo sviluppo di un’architettura cerebrale di tipo maschile. Il rischio che venga usato per prevenire l’omosessualità femminile non è così remoto, soprattutto in una società sempre più omofoba, che propone e sostiene terapie psicologiche “riparative” per curare gli omosessuali
Credo che sarà necessario che il mondo della bioetica e quello della medicina si confrontino, si interroghino e stabiliscano delle linee guida illuminate.