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Cannes 63 si conclude e saluta il pubblico premiando un regista thailandese dal nome impronunciabile. Il film è di quelli che piacciono a Tim Burton, presidente di giuria: la storia di un vecchio sul letto di morte che comincia a fantasticare sulla sua vita passata...Tuttavia, però, il palmarès di questa edizione è di quelli che fanno storcere il naso. Certo, non abbiamo visto i film e ci riserviamo di dare giudizi più appropriati in futuro, ma a detta di un netta maggioranza di giornalisti e operatori del settore quest'anno il concorso ha decisamente deluso: molti film insuslsi, pochi importanti, nessuno memorabile. E come sempre accade in questi casi, ecco che si premia il "solito film asiatico" che mette tutti d'accordo. Anche se le cronache ci parlano di un'opera leccatissima, autoreferenziale e decisamente sopravvalutata.
Ma tant'è. A mio modestissimo parere la Croisette mostra la corda da molti anni (salvo la sfavillante edizione del Sessantesimo), confermando che la presunta "grandeur" e l'ennesima "Nouvelle vague" d'oltralpe sono, con le dovute eccezioni, dei grandissimi bluff che i francesi sono bravissimi a nascondere. Eppure i fatti parlano chiaro: quest'anno il "cast" dei registi in corsa per la Palma d'Oro era un vero e proprio cimitero elefantesco: Kiarostami, Leigh, Michalkov, Tavernier, Loach, Kitano... una squadra "matura", dall'età media decisamente alta e che ormai, da molto (troppo?) tempo "monopolizza" il red carpet quasi come fosse un affare di famiglia, una specie di circolo privato. Un po' come quei cantanti un po' attempati che si vedono una volta l'anno al Festival di Sanremo e poi vivono di rendita tutto l'anno con quella canzone... con buona pace del nostro bravissimo Elio Germano, unica (splendida!) eccezione.
Se si passano in rassegna, una ad una, le ultime edizioni dei due più importanti festival del cinema al mondo, ci accorgiamo con (relativa) sorpresa che la nostra vecchia e bistrattata Mostra di Venezia è assolutamente e qualitativamente sulla stessa riga della Croisette. Anzi, dal punto di vista della dinamicità, dell'innovazione e della sperimentazione è decisamente superiore.Però, come è sempre successo e come sempre succederà ancora, i francesi (ahimè) sono molto più bravi di noi nel "vendere" i loro prodotti: Cannes è più "glamour" di Venezia, ha strutture migliori, più ricettività e più capacità di attrarre pubblico e investitori. E gli organizzatori sono pure dei furboni matricolati, che ricorrono a "trucchetti" da avanspettacolo per far decollare il loro festival... Un esempio? Prendete il film di apertura: di solito è sempre una ciofeca paurosa (quest'anno è toccato al terribile Robin Hood), in modo tale che la critica, in seguito, avrà certo un occhio di maggior riguardo per i film che passeranno nei giorni successivi.
A Venezia tutto questo non accadrà mai. Inutile aspettarselo. Ed è un peccato, perchè a rovinare la Mostra sono proprio l'ottusità dei curatori e l'eterna, storica, marcia e meschina interferenza della politica nella scelta del cartellone e (quel che è più grave) anche nei premi. Ecco perchè mentre a Cannes si fa di tutto (come è ovvio) per far vincere, se non il film più bello, comunque un'opera significativa, a Venezia le "logiche di palazzo" finiscono per condizionare pesantemente il palmarès: ricordate la Mostra del 2008? Mickey Rourke doveva stravincere la Coppa Volpi per il miglior attore... ma la "ragion di Stato" imponeva che un premio dovesse essere coercitivamente assegnato a un film italiano (anche se brutto). Ed ecco allora svettare dal cilindro Silvio Orlando (bravo, per carità, ma mai come l'ex 9 settimane e 1/2), mentre il Leone d'Oro veniva asseganto, a titolo di risarcimento, a The Wrestler. Un titolo in verità decisamente generoso.
Ma così va la vita. Caro Muller, ascoltaci se puoi!
I vincitori di Cannes 2010:
http://cinema-tv.corriere.it/cinema/10_maggio_23/scheda-premi_d58665d2-669c-11df-b272-00144f02aabe.shtml
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