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Un film e i suoi attori: Dallas Buyers Club

Creato il 18 febbraio 2014 da Irene_snapi @irene_snapi

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Da una vita e mezzo che non scrivo sul blog, torno per parlare di un film per la verità uscito da un po’ ma che ho visto solo di recente, parlo di Dallas Buyers Club del regista francese Jean Marc Vallée, già regista del mini-cult C.R.A.Z.Y. , anno 2005 e di Young Victoria, prodotto tra gli altri da Scorsese (anche se la sottoscritta non ha mai visto altro che questo di cui vado a parlare).

Poche volte come in questo caso un film è i suoi attori. Qui, in quello che si definisce “stato di gloria”, parliamo di Matthew McConaughey e Jared Leto. La loro prova dà identità all’intera pellicola, che senza la loro interpretazione probabilmente sarebbe stata più una storia drammatica qualsiasi, come è piena la produzione americana. Entrambi nominati all’Oscar, entrambi in preda a una vistosissima metamorfosi: McConaughey dimagrito di 20 e passa chili, Leto nei panni di una trans con addosso più trucco che ciccia, performance queste che da sempre impressionano i membri dell’Academy ma che questa volta non possono fare a meno di impressionare anche me.

La storia è quella, vera, di Ron Woodroof, elettricista macho texano che scopre di aver contratto il virus dell’hiv: la prima parte, forse la più drammatica, è quella della disperazione, dell’incredulità dell’avere una malattia che ingenuamente il protagonista considerava esclusiva degli omosessuali, è la parte dell’emarginazione e della consunzione fisica dietro a una diagnosi sbagliata che lo dava per morto in un mese. Entra in scena dopo qui Ray, transessuale, sieropositivo, dapprima tenuto a distanza da Ron che gli dice “qualsiasi cosa sei stammi lontano”, ma che poi, con simpatia e sfacciataggine si avvicina, fino a diventare suo socio, consigliere e amico: insieme metteranno su il Dallas Buyers Club e qui si apre la terza parte del film, quella della critica allo strapotere delle aziende farmaceutiche e del sistema sanitario incapace di affrontare un’emergenza di portata ingente come quella che colpì gli Stati Uniti (come il resto del mondo, del resto), nella seconda metà degli anni 80: il club di cui si parla è quello che spacciava farmaci illegali per quanto più utili di quelli che venivano adoperati ai tempi nella cura all’AIDS che senza tale circuito sarebbero stati inaccessibili ai più.

A livello di regia quasi mai s’intravede un lampo di genio, Vallée ha uno stile contemporaneo senza infamia e senza lode, certo ci riserva qualche bel momento (la stanza piena di falene, scena narrativamente inutile ma visivamente eccezionale), ma più che altro si limita a restare attaccato ai suoi attori senza i quali sa bene che sarebbe perduto: la maturazione e la presa di coscienza del protagonista avviene in maniera totalmente naturale, da migliore tradizione d’actor studio, e stupisce davvero quanto McConaughey arrivi ad aderire al suo personaggio attraverso anche una sua maturazione attoriale che ha del sensazionale (solo per citare, altri tre film recentissimi in cui è eccezionale: Killer Joe di Friedkin, Magic Mike di Soderbergh, Wolf of Wall Street di Scorsese). La sceneggiatura è ben impiantata e qualche volta, specie grazie al personaggio di Ray, ci strappa qualche risata.

Un film da zero retorica e molti pugni nello stomaco, da ricordare quasi Boys don’t cry che valse infatti l’Oscar alla sua metamorfizzata attrice protagonista Hilary Swank, decisamente da vedere tutto d’un fiato per godere a pieno della scintillante naturale bravura dei suoi protagonisti.


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