Un fiore che appassisce

Da Paolob
Pensate a un uomo.
Una vita spesa a sopravvivere tra le mille difficoltà dell'Italia dell'inizio novecento.
Poi la guerra. Prima nell'esercito, poi, come tanti, fuggendo e nascondendosi dalla follia del pazzo che urlava oscenità al popolo bue da un balcone.
E poi la rinascita.
L'amore.
Il lavoro.
Le speranze e i sogni.
Poi i figli.
Poi il benessere e le difficoltà della vita.
E poi i nipoti.
E poi la perdita della compagna di un'esistenza.
E poi la vecchiaia.
Fino a oggi, novanta passati.
Insomma la vita di un uomo, come tanti, ma proprio per questo unica.
La vita di un uomo che è stata piena, vissuta, che non ha mai avuto un attimo di sosta.
Bene, pensate a questa vita.
Oggi.
Pensate allo stesso uomo, seduto sul suo letto, che per oltre un'ora cerca di capire che ore sono, che data è, se è giorno o è notte.
Pensate allo stesso uomo che si picchia sulla testa urlando in faccia a suo figlio 'tuo padre è diventato scemo', nel pieno della consapevolezza.
Pensate a un uomo che chiama con un altro nome uno dei suoi figli.
Pensate alla sua disperazione quando se ne rende conto.
E pensate a suo figlio.
Dopo i cinquant'anni, dice Jonathan Coe, ci si rende conto che il tempo non è più infinito.
E a novanta, cosa si pensa?

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