Certo, oggi le cose sono molto diverse. Trent’anni fa, il sistema economico aveva ancora vasti orizzonti dinnanzi a sé e la Cina era ancora chiusa a riccio; allora c’era la sovranità monetaria, mentre oggi siamo sottoposti a controlli severi sui conti pubblici; inoltre, la Magistratura non era attenta come ora ai problemi inerenti al finanziamento illecito dei partiti e alla corruzione in generale. Ma nella sostanza, come allora, c’è da risollevare un paese da una depressione cronica, economica e sociale. Per farlo, una volta neutralizzata ogni velleità di rivoluzione democratica in senso partecipativo e arginata l’esplosione di consenso del movimento folkloristico di Grillo, non si può che puntare sull’entusiasmo, sull’ottimismo, sempre che non si sia talmente ingenui da attendersi dalla classe politica apparentemente rinnovata che emergerà da questa rivoluzione gattopardesca, un profondo cambiamento strutturale che smantelli gli intrecci familistici e clientelari nella gestione della cosa pubblica.
Il ruolo che fu di Craxi non potrà che essere ricoperto da Matteo Renzi, il quale non ha certo il piglio autoritario del leader del socialismo rampante e neanche lo spessore culturale e politico; tra l’altro, tutte caratteristiche oggi poco funzionali al raggiungimento del consenso. Ma Renzi, come Craxi, si porta dietro un’aura di modernismo, di efficientismo, di sburocratizzazione; un’aura che, pur non avendo avuto alcuna conferma dall’attività di primo cittadino di Firenze, esercita comunque un grande fascino nell’immaginario dell’italiano medio. Renzi, come Craxi, pur partendo dal centrosinistra (da quella tradizione di sinistra democristiana che si contrappose al Craxismo, ironia della sorte), è trasversale, capace di raccogliere i consensi di quelli che, al tempo di Craxi, erano riformisti pragmatici e oggi amano definirsi riformisti moderati. Riformisti che si guarderanno bene dallo stravolgere il sistema Italia con le sue anomalie (familismo, clientelismo, economia illegale), limitandosi a un cambiamento di facciata da dare in pasto a un elettorato distratto e superficiale.
Ora, resta da vedere dove si troveranno i fondi per questa rivoluzione d’immagine, vista l’impossibilità di manomettere i conti pubblici e l’estrema difficoltà di organizzare sistemi di finanziamento illeciti. Ce lo fanno capire i mantra ripetuti dal governo transitorio presieduto da Letta: investimenti stranieri favoriti dal grande evento dell’Expo 2015, a cui si guarda con attesa messianica. Se tutto andrà per il verso giusto, pioverà un po’ di lavoro, elargito dai benefattori tedeschi, cinesi e russi, in cambio di una cessione di sovranità sul talento, sulla creatività e sulla ricchezza culturale del nostro paese. Aridatece Bettino, almeno con lui il Made in Italy non veniva venduto come Made in Germany, China o Russia.