Magazine Rugby
La Irb ovviamente tende a enfatizzare gli effetti positivi apportati al gioco dai cambiamenti regolamentari intervenuti tra 2007 e 2011 - rivoluzione ELV, controriforma e abolizione delle ELV, poi la fase delle "nuove interpretazioni"; anche i potenti (non solo fisicamente e tecnicamente) vincitori neozelandesi sono molto interessati a "vendere" alla pubblica opinione che si sarebbe trattato di un Mondiale "più combattuto" e anche "più giocato" di quelli precedenti.
Beh, a scorrere queste 74 pagine di analisi e tabelle non parrebbe si sia trattato di un deciso "ritorno al running rugby", come titola qualche sito importante. Di più, questi Mondiali confermano in sostanza i trend in vigore post 1995, vera data spartiacque di quando il professionismo ha iniziato a incidere sul serio nel gioco. Oltretutto non tutti i cambiamenti, minimi o massimi che siano, paiono essere nella direzione voluta.
I numeri insomma confermerebbero l'impressione "a pelle" che alcuni provano ma pochi osano esternare: s'è trattato di un mondiale non pessimo ma neppure eccelso, privo di grandi innovazioni tecniche o tattiche, di novità "geopolitiche" e di rivelazioni individuali di spicco.
Proviamo nel seguito ad analizzare giusto un paio di aspetti statistici generali che ci paiono di rilievo. Dei numeri Azzurri - lo so che interessa - magari ci riserviamo di parlare in separata sede.
- Il fattore "competitività"
Il report Irb sottolinea prima di tutto un presunto aumento della competitività delle nazionali di seconda fascia rispetto a quelle di primo livello. Peccato sia vera solo nella prima giornata del torneo: in quella il divario tra "grandi" e "minnows" è sceso a una media di 20 punti rispetto ai 41 del 2007, facendo esultare per la contendibilità, la fine dei risultati troppo scontati. Purtroppo la situazione è tornata immediatamente nella norma già nella seconda giornata, quando il divario medio negli incontri tra grandi e piccole è schizzato a 52 punti. Alla fine lo scarto medio complessivo nei punteggi tra nazionali di prima e seconda fascia non è diverso da quello del 2007. Un ritorno indietro post promesse della prima giornata causato del calendario troppo denso per le piccole, e un passo "falso" iniziale dovuto alla pressione del debutto per le Grandi o delle formazioni "B" schierate da queste ultime? Probabilmente tutto fa brodo, certo che un po' più di "equità" nei calendari gioverebbe.
Stessa cosa vale per la competitività generale tra tutte le nazionali: il numero di match conclusi con meno di cinque o dieci punti di vantaggio non risulta aumentato. Nel Mondiale neozelandese 11 partite sono finite con meno di 5 punti di scarto, contro le 13 nel 2o07; sette con differenza tra i 6 e 10 punti, al pari del Mondiale francese. Si nota solo una diminuzione delle partite finite con divari superiori a 50 punti: sette in questo mondiale contro le nove del 2007. Per trovare un vero salto occorre risalire al 1999, quando furono il doppio. Il numero di match chiusi con più di venti punti di scarto è il 48% del totale, rispetto al 50% del 2007.
Se ne conclude che la competitività tra nazionali aumenta ma di pochino, seguendo un trend in atto da tempo e senza salti. Crediamo sia attribuibile a un progressivo appiattimento verso l'alto delle prestazioni fisiche e alla "globalizzazione" di allenatori e giocatori, più che a un vero allineamento dei valori rugbistici nazionali.
- Come si gioca, come si vince
Il numero di passaggi aumenta di quasi il 15% (dai 224 per partita del 2007 a 262 del 2011) e al contempo diminuisce molto il numero di palle calciate (da 56 per partita nel 2007 a 41, meno 25%). Però la palla rimane in gioco sempre per il 44% del tempo. Si corre sempre uguale insomma, un po' più con la palla in mano e un po' meno sotto i "campanili". Non sarà che sono gli avanti a portar palla - e a far offload - più spesso?
Il vero cambiamento in atto da tempo, confermato nel 2011, riguarda gli avanti ed è lo spostamento delle fonti del possesso palla, dalle fasi cosiddette statiche a quelle dinamiche. Se le mischie ordinate continuano il loro progressivo calo (dalle 21 per partita nel 2003 a 19 nel 2007, e sono 17 nel 2011), ora diminuiscono anche le rimesse laterali ( 24 per partita contro le 31 del 2007). Aumentano in modo consistente (+12%) le ruck e maul (da 144 a 162 per gara), da cui deriva la crucialità del ben arbitrare tali momenti.
Se ci sono meno fasi statiche ma la percentuale di tempo giocato rimane costante, significa che ogni singola fase porta via più tempo. Fatto evidente nelle mischie ordinate con tutti quei crolli e reset: le statistiche di questo Mondiale sono realmente preoccupanti. Paradossalmente, i numeri di reset diventano sempre più brutti al salire del livello delle squadre in lizza: collassa ben il 50% delle mischie tra nazionali di prima fascia (solo il 19% nelle partite tra nazionali di seconda fascia); il 31% delle mischie viene rifatto e 41 mischie su 100 tra le prime nazionali generano un calcio di punizione! Questo andazzo porta a una conseguenza inattesa: se tra nazionali di seconda fascia la mischia rimette la palla in gioco in media 18 volte per partita, quando si sale tra le prime della classe, la mischia "ri-sputa fuori" la palla solo otto volte per gara! Le mischie fatte (e rifatte) per ottenere calci di punizione: non è caratteristica solo italiana.
Eppure le fasi statiche restan sempre le maggiori generatrici di possessi "utili": il 36% delle mete nasce da un possesso sorto da rimessa laterale, il 20% da una mischia ordinata, comparate col "solo" 17% da turnover. Le fasi statiche: sempre meno ma sempre più individualmente "pesanti".
Quanto ai punti fatti, il 58% arriva dalle mete, lievemente in calo rispetto al 60% del 2007, mentre la percentuale di punti da calci di punizione sale al 23% rispetto al 21% del mondiale di Francia.
Tale crescita potrebbe essere ancora più elevata, se la precisione dei calciatori non fosse decaduta drammaticamente a un misero 59%, dal 72% del 2007. I problemi incontrati da molti piazzatori ad adattarsi ai nuovi ovali e alle condizioni ambientali, ha mascherato il fatto statistico più eclatante di questi Mondiali: il numero di calci di punizione concessi. Che difatti nel report non viene riportato, ma si può ricavare: 171 punizioni centrate col 59% di precisione, significa ben 290 tentativi di piazzare concessi.
Se la precisione fosse stata analoga al 2007, probabilmente non si sarebbe misurata una diminuzione nei punti medi segnati per partita, 47 (contro 52 nel 2007, 59 nel 2003, 60 nel '99): sarebbe diminuito solo il numero medio di mete segnate per gara, 5,5 contro 6,2 del 2007 e 6,9 del 2003; invece il numero di calci di punizione segnati per gara sarebbe salito invece di rimaner più o meno analogo (3,7 a partita).
I compilatori delle statistiche si affanano a mostrare come la vasta parte delle partite - almeno quelle nella fase a pool - siano state decise dalle mete segnate più che dai penalty: il 79% delle volte ha vinto il team che ha segnato più mete, ma nel 2007 era l'81%. A parte che nelle fasi finali è diverso, il punto vero è che se si tenesse conto anche dei tentativi falliti di piazzare, le nazionali paiono giocare primariamente per portare i loro piazzatori a tiro; un po' come negli assedi del Sei e Settecento si lavorava per portare i mortai pesanti a distanza utile dai bastioni della città.
Competitività tra nazioni, numero di calci di punizione concessi e, correlato, problema delle mischie ordinate, un tempo caratteristica peculiare, quasi sacra del rugby versione Union e ora invece sempre più relegato ad "area grigia", a pain in the neck. E non abbiamo manco fatto cenno alle questioni più "hard" dell'arbitraggio delle ruck.
Non parrebbe insomma un panorama del tutto perfetto e tranquillizzante, soprattutto nel senso del tanto propagandato "running game", quel che emerge dal Mondiale neozelandese. Son numeri molto convincenti: che una qualche ulteriore riforma nei regolamenti sia diventata oltremodo necessaria.
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