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Un Giorno della Memoria da Dimenticare

Creato il 12 novembre 2010 da Obyinlondon

Un Giorno della Memoria da DimenticareOggi é accaduto un episodio — che mi riguarda in prima persona — che mi ha lasciato deluso ed amareggiato.

Dovete sapere che la giornata di oggi é riconosciuta dallo Stato come “Armistice Day” (o “Remembrance Day”) in memoria del giorno in cui, 92 anni fa, gli alleati firmavano la deposizione delle armi insieme alla Germania, decretando la fine della prima guerra mondiale. Il giorno é da allora celebrato ogni anno ed oggi include (aggiungo “comodamente” dall’alto del mio cinismo) tutti i soldati morti anche nelle guerre successive, di modo che  effettivamente é diventata la “giornata dei caduti in guerra”.
Non fate errori: la celebrazione é chiamata “giornata dell’armistizio” per fare credere che riunisca tutti quelli che soffrono per avere perso un parente in guerra, ma in realtá, per dirla in una frase concisa, “ognuno piange i suoi”; insomma qua si celebrano le truppe britanniche.
Poi, se mi posso permettere un commento un po’ insolente (perché stiamo parlando di defunti), un osservazione personale che voglio dare é la seguente: la mia impressione é che il Regno Unito sia molto piú devoto alle proprie truppe di quanto non lo sia l’Italia con le sue; se avete occasione di girare per le strade della city, in questi giorni in particolare, vi sará impossibile non notare schiere di uomini e donne che indossano sulle giacche il ‘red poppy‘ (un papavero di plastica che sta ad indicare il supporto della persona che lo porta verso i soldati caduti in guerra), o la folla che si accalca all’Imperial War Museum per rivivere i giorni d’oro del nonno o del papá, o la fioritura di editoriali infiniti sui quotidiani londinesi che decantano eroiche gesta delle forze armate britanniche.

Un sentimento tanto forte conduce inevitabilmente a celebrazioni collettive; ed infatti non ha fatto eccezione la mia ditta, nella quale stamani (non so come sia riuscito a scamparla negli anni precedenti) abbiamo ricevuto un’email generale recante l’annuncio che “l’azienda si unisce alle celebrazioni del giorno della rimembranza: ci saranno due minuti di silenzio alle ore 11am”.
Dovete sapere che alle ore 10.58 stavo uscendo da un meeting con il mio capo; mentre tornavamo alle postazioni di lavoro lo speaker interno annunciava chiaramente che i due minuti di silenzio stavano per cominciare. “Beh,” mi sono detto, “Mentre facciamo i due minuti di silenzio ne approfitto per mettere per iscritto le cose di cui abbiamo discusso seduto tranquillamente alla mia scrivania”.

Bene: nel caso anche voi, come me, non siate imbevuti della perspicacia suprema per comprendere che i due minuti di silenzio non erano solo due minuti di “silenzio vocale” ma proprio due minuti di contemplazione religiosa intesa come “sospensione completa delle attivitá lavorative e raccoglimento generale”, beh, allora forse potrete comprendere la mia sensazione di sorpresa quando, al termine dei due minuti, il mio capo si alza per giungere alla mia scrivania e decantare la seguente frase: “Immagino che in Italia non sia usanza rispettare il silenzio per i propri caduti in battaglia“, alla quale ingenuamente rispondo: “In che senso? Io ho partecipato ai due minuti di silenzio.“. “No,” mi risponde, “eri talmente assorbito dal tuo lavoro da non renderti conto che l’intero ufficio ti stava guardando: eri l’unico che stava lavorando“.
Colto da un onda non tanto di imbarazzo quanto di amarezza per il tono utilizzato, cerco di giustificarmi: “Beh, mi dispiace se ho offeso qualcuno, avevo inteso che erano due minuti di silenzio vocale, credo che le informazioni non siano state completamente chiare”.
Si accoda immediatamente una grigia zitella due scrivanie piú un giu, che proprio non riesce a trattenere il suo disappunto: “E’ evidente che sono due minuti di raccoglimento!!!!!111!!1!”. (Manco l’avesse mandata lei l’email — ma ti potesse venire una bella motilitá intestinale iperattiva con episodi di meteorismo ogni 11 Novembre, cosí rendi musicale il tuo momento di raccoglimento!).

A scenetta terminata (“terminata” per modo di dire, dato che casualmente per il resto della mattina nessuno dei miei colleghi ha avuto piú avuto niente da dirmi) ho cominciato a sentire quella sensazione di coltello nel fianco: é stata la frase “Immagino che in Italia non sia usanza rispettare il silenzio per i propri caduti in battaglia” che mi continuava a rimbombare nella testa… ore dopo mi sono reso conto di sentirmi ancora paonazzo, probabilmente quando gli altri avevano giá smesso di pensare alla vicenda. Mi sono sentito trattato in modo razzista, ingiusto, mi sono sentito nella mente oggetto di frasi come: “ma tanto a lui cosa gliene frega, in Italia nei due minuti di silenzio penseranno forse alle prostitute del presidente“, oppure “Sti italiani di merda che erano alleati con i tedeschi, avrá pensato ad Hitler“, o cose del genere. Forse esagero, ma dopo che ho saputo che c’é anche chi si é lamentato con la direzione perché “l’annuncio allo speaker era incluso nei due minuti che quindi non erano due minuti effettivi di silenzio” ho i miei motivi di lasciarmi andare in considerazioni.
Mi ha irritato in maniera particolare la realizzazione che io non rispettando i loro due minuti di silenzio li abbia potuti offendere: come entrare in sinagoga senza la Kippah in testa; ovviamente il loro disappunto non nasceva dal loro interesse che io potessi raccogliermi in silenzio per dirigere i miei pensieri verso miei ipotetici cari morti in guerra, semmai verso i loro.
In realtá, quello che ho fatto é essermi scusato per non aver assecondato i loro due minuti di silenzio per farli contenti, perché se avessi dovuto prendere una decisione pesata avrei fatto esattamente quello che ho fatto ed avrei continuato a lavorare; e non soltanto perché personalmente ritengo che quei due minuti di silenzio siano molto ipocriti e simbolici (quindi concretamente poco utili), ma perché, per quel che agli altri ne deve interessare, io potrei essere figlio di immigrati Iraqeni morti sotto fuoco britannico; la mia fidanzata potrebbe essere tedesca ed avermi raccontato di come il suo caro nonno é stato torturato dalle truppe britanniche nella prima guerra mondiale; potrei avere mille motivi per non volermi unire ai loro sentimenti e pretendo che loro siano consapevoli di questo; inoltre, quando sono immigrato nel Regno Unito, nessuno mi ha chiesto di giurare fedeltá alla Union Jack, o alla Regina, e presumo quindi che io possa continuare a credere nelle mie ideologie politico-economiche di piacere.

Sempre valutando a ritroso l’evento, ho deciso che dall’anno prossimo in quei due minuti usciró dall’ufficio, sempre per rispetto, e, se qualcuno mi chiederá il perché, riporteró semplicemente il mio punto di vista: che non capisco il motivo per cui si debba dare piú valore ad un caduto in guerra rispetto ad un qualunque caduto sul lavoro — dato che ritengo della stessa cosa si tratti — né comprendo perché il soldato che muore tentando di uccidere un’ altro soldato debba avere piú dignitá di mio nonno morto scivolato su una putrella del tetto di casa mia. E non credo che soltanto i soldati possano onorarsi dell’ “essere caduti mentre difendevano il proprio paese”, perché allora tutte le scorte personali che sono saltate per aria mentre portavano un magistrato in tribunale, o gli artificieri che sono esplosi mentre cercavano di disinnescare una bomba piazzata da terroristi (magari pure loro concittadini), o semplicemente tutti quei cittadini iraniani, o pakistani, o di qualunque paese del mondo, che volevano solo uscire a comprare il latte e si sono trovati una pallottola “alleata” tra di denti, che ne é di loro? Ce li hanno anche loro i due minuti di silenzio ed i fiorellini da appendere alla giacca?

Trovo sia troppo semplice simbolicamente ricordare, e pretendere che anche gli altri lo facciano, quando su argomenti tanto delicati ci si perde cosí facilmente in sterili simbologismi.

Questa cosa fa smuovere un pochino la coscienza, perché penso che volevo davvero chiedere la cittadinanza britannica l’anno prossimo, credevo che ne sarei stato onorato, ma in un attimo mi rendo conto che non saró mai un cittadino britannico, né ai miei occhi, né agli occhi degli altri. E’ tutto talmente stupido: troppi ragionamenti vertono attorno a linee immaginarie che determinano come la gente si aspetta che tu ragioni: come costruire le proprie paure ed i propri timori, come definire il giusto dallo sbagliato, il buono dal cattivo, il bene dal male.
Forse i miei colleghi credono che se mi trovassi in Italia indosserei il papavero per i “miei” soldati, o mi recherei all’Altare della Patria a lasciare i fiori ai miei antenati?
Io non credo nel nazionalismo e non sono patriota. Sono nato in Italia ma avrei potuto nascere in qualsiasi altro stato del mondo, non appartengo a nessuno stato; semmai appartengo alla razza umana: se piango, piango per quella.
Ecco perché non ho speranze di vita in nessun’altro posto che non sia una metropoli: ho bisogno di un punto di incontro dove persone di diverse nazionalitá si sentono allo stesso livello e non danno cose per scontato, hanno loro idee, discutono, cambiano, si influenzano, accettano di farlo per il fatto di trovarsi lí. Non si aspettano ragionamenti di un certo tipo perché sono nati in certi posti, e usano il termine “nazionalitá” per definire il proprio passato ma il proprio futuro.
Oggi, nella terra dei disadattati, si festeggia il giorno della memoria da dimenticare.


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