Magazine Cinema
di Giorgio Diritti (Italia, 2013)
con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Englebert, Sonia Gessner
VOTO: **/5
Per una donna non c'è dolore più grande della scomparsa di un figlio ancora in grembo. E quando il dolore diventa intollerabile, la trentenne Augusta (una spenta Jasmine Trinca) decide di partire per l'Amazzonia nella speranza di ricostruire la sua vita. Raggiunge Suor Franca, una missionaria amica di sua madre, da sempre al fianco di una delle popolazioni più povere del pianeta. Augusta cerca nella dignitosa miseria di quella gente e nel sorriso tenero dei bambini la spinta per ricominciare: il percorso però costa fatica (fisica e mentale), sacrificio, dedizione. E nemmeno tutto questo sembra bastare per porre fine alle proprie sofferenze, per dimenticare una tragedia.
La trama di Un giorno devi andare, opera terza di Giorgio Diritti, è tutta racchiusa in queste poche righe. Eppure per buona parte del film lo spettatore non ne sa nulla. Vediamo sullo schermo una giovane donna perennemente imbronciata, scontrosa, insofferente, sempre con lo sguardo fisso a terra o perso nel vuot, a scrutare l'immenso e immutabile paesaggio primordiale che le si staglia davanti. Ci aiutano a capire solo le sporadiche 'incursioni' filmiche in territorio italiano, esattamente in Trentino, dove vivono la mamma e la nonna malata, entrambe assistenti laiche di un piccolo convento di montagna.
Prima, come detto, solo estenuanti sequenze di vita missionaria, a metà strada tra il reportage e il documentario. Un realismo esasperato, eccessivo, che finisce ben presto per annoiare e infastidire lo spettatore, che si aspetterebbe invece un film 'vero', fatto di personaggi, storie, dialoghi compiuti. Invece Un giorno devi andare è una pellicola noiosa e prolissa, incompiuta, sempre a metà strada tra il road-movie e il misticismo di maniera, ben lontana da quelle atmosfere allo stesso tempo solenni e ingannatorie che ritrovavamo ne Il vento fa il suo giro, il film d'esordio di Diritti.
Anche proseguendo nella visione, infatti, ci si interroga sul significato del film, sperando invano che possa trascendere dalla banalità che ci si presenta davanti agli occhi: il tema del viaggio come metafora di una ricerca di se stessi, di un punto da cui riprendere il cammino della vita, appare abbondantemente superato. Il ritmo è pesante, lentissimo, indigeribile. E anche il pistolotto ecologista no-global (i nativi che, attratti dai posti di lavoro nell'industria promessi dal governo, abbandonano le loro case e il loro mondo) è francamente visto e stravisto. Mancano le emozioni, la potenza evocativa e passionale che invece ci avevano fatto amare, ad esempio, un film come Re della Terra Selvaggia, anch'esso sicuramente imperfetto e per certi versi 'scombinato' eppure ben più trascinante e godibile.
Un giorno devi andare è invece una pellicola vecchia, retorica (specialmente nella parte 'italiana'), dove tutto resta uguale, triste, senza nemmeno un reale motivo. Lo sguardo perduto (l'ennesimo) di Augusta nel finale sulla spiaggia è esattamente il nostro sguardo, reso incerto anche dalla palpebra che resta inesorabilmente abbassata.
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