Vorrei sapere se un giorno questo film mi sarà utile. Non credo, perché questo è il classico film inutile. Non ho letto il romanzo di Peter Cameron da cui è tratto, che pare sia un capolavoro, una sorta di nuovo Giovane Holden o giù di lì. Pur non avendolo fatto, l’impressione guardando il film è quella di un’occasione mancata, di un adattamento che probabilmente ha cercato di ritagliare insieme vari momenti tratti dal libro, senza però riuscire a catturarne lo spirito. Un po’ come capitato di recente con la visione di Molto forte, incredibilmente vicino (dal romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer) e Norwegian Wood (da Tokyo Blues di Haruki Murakami). Pure supposizioni, visto che non ne ho letto manco uno dei tre, ma credo che chi ha amato questi romanzi difficilmente amerà altrettanto le poco trascendentali trasposizioni. A prescindere, credo in particolare che nessuno amerà questo film. Non che sia inguardabile. Questo no. Però dall’inizio alla fine traspare una grande pochezza. Si percepisce la volontà di dire qualcosa di importante sulla vita, obiettivo probabilmente centrato dal romanzo, e si percepisce allo stesso la sensazione di non riuscire a dire niente.
"Allora figliolo, come sta Ryan Atwood? Oops, scusa, ho sbagliato parte..."
Il protagonista è il tipico adolescente newyorkese di buona, buonissima famiglia, alla ricerca di se stesso. Un tipo piuttosto strambo, originale, particolare e asociale. Anche se, per essere un asociale, si incontra con un sacco di persone. Nei primi minuti di film ci viene presentato come un aspirante suicida, un irrecuperabile solitario, eppure allo stesso tempo ha un rapporto che non sembra nemmeno malaccio con madre, sorella, padre, nonna, psicoterapeuta/coach life e con un collega di lavoro. Non ha molti amici, è vero, però non sembra nemmeno così messo male come ci era stato dipinto. Un incongruenza che rende bene l’atmosfera di tutto il film. Ci vuole presentare il suo protagonista come un tipo assolutamente unico e fuori dal comune, e invece è solo la copia sbiadita dello stesso personaggio visto in un sacco di altre parti in maniera molto più riuscita: su tutte, nel già citato Il giovane Holden, modello inavvicinabile e irragiungibile, quanto in una miriade di pellicole più o meno indipendenti e più o meno interessanti, come Igby Goes Down, Tadpole, L’arte di cavarsela, Fa’ la cosa sbagliata, Roger Dodger, ma sono sicuro ce ne siano almeno un’altra mezza dozzina che adesso mi sono scordato.Cosa abbia quindi di tanto speciale, non ci è dato saperlo, nel film. Nel romanzo sono (quasi) sicuro che invece questa unicità e particolarità venga fuori e lo stile di
A non aiutare nella riuscita di questo adattamento è poi il poco convincente protagonista, gli manca del tutto quel non so che, quella capacità di bucare lo schermo e trascinarti dentro il suo personaggio. Lo seguiamo peregrinare per New York, tra un incontro con i genitori, una Marcia Gay Harden stereotipatissima nei panni della classica artista riccona snob e uno spento papà Peter Gallagher, un siparietto con la sorella, la sempre valida Deborah Ann Woll meglio conosciuta come Jessica di True Blood, un incontro con la life coach Lucy Liu, un litigio con il collega gay Gilbert Owuor e una chiacchierata con la nonna Ellen Burstyn che vorrebbe essere profonda e rivelare chissà quale significato nascosto della vita e invece finisce per non dire niente. Per essere un personaggio e una pellicola tanto confusi e incerti su quale direzione prendere, tra commedia che non fa ridere manco per sbaglio e dramma che non fa riflettere manco per sbaglio, alla fine ti lascia comunque con una certezza incontrovertibile: un giorno questo film non ti sarà utile. (voto 5-/10)