Take Shelter, Rai Movie, ore 23,05.
Ripubblico la recensione scritta all’uscita del film.
Take Shelter, regia di Jeff Nichols. Con Michael Shannon e Jessica Chastain. Usa 2012.
Anomalo, formidabile film. Curtis, operaio-massa del Mid West americano, è ossessionato dal pensiero che un uragano possa distruggere la sua famiglia: un’idea che finirà col divorarlo. Ma Take Shelter è solo apparentemente la cronaca di una follia, è una porta spalancata sull’abisso, su dimensione altre, un’opera cosmica alla The Tree of Life, con cui ha in comune anche Jessica Chastain. Voto: 8 e mezzo
Semplicemente, uno dei film migliori dell’ultimo anno, tra i vertici del recente cinema americano insieme a The Tree of Life e poco altro. Premiato nel 2011 alla Semaine de la Critique a Cannes, ma arrivato solo adesso dalle nostre parti grazie a una piccola etichetta di distribuzione torinese, la Movies Inspired, dopo aver raccolto in America recensioni al limite dell’entusiastico. Si era parlato anche di possibile nomination all’Oscar per il suo protagonista Michael Shannon, ma l’Academy ha pensato altrimenti. Peccato. Un riconoscimento importante, ufficiale, istituzionale Take Shelter l’avrebbe meritato, e gli avrebbe consentito di uscire dal ghetto del cinema indie bello, ma inesorabilmente povero e minoritario. Però va bene, è andata bene anche così. Il suo regista Jeff Nichols, classe 1978, ha un’età in cui i nostri autori sono ancora aspiranti tali, invece lui già prima di questo formidabile Take Shelter aveva messo a segno un film d’esordio assai elogiato dai critici americani, Shotgun Stories. Quest’anno è approdato a una produzione a più alto budget, quel Mud visto a Cannes lo scorso maggio come ultimo (in ordine di tempo) titolo in concorso a giochi della giuria probabilmente già fatti. E anche qui peccato, perché è risultato il meglio dei quattro film Usa in lizza (gli altri erano i pur rimarchevoli The Paperboy e Killing them softly e il mediocre Lawless) e un premio se lo sarebbe meritato eccome. Comunque è stato applauditissimo alle proiezioni stampa, cosa che non capita così di frequente vista la ben nota schifiltosità della platee giornalistiche festivaliere (nel caso interessasse, ecco la mia recensione di Mud da Cannes). Devo dire che Take Shelter, che ho visto dopo Mud, gli è superiore per potenza espressiva, un’opera per niente mainstream che si muove tra diversi territori narrativi, lo psicothriller, il neo-neorealismo, perfino il surreal-visionario-allucinatorio. Ci troviamo in un punto qualunque dell’America rural-periferica più piatta e profonda, da qualche parte di quelle grandi pianure spazzate ogni tanto da uragani dagli strani nomi e dagli effetti devastanti. Ambiente blue collar, e già questo fa di Take Shelter qualcosa di anomalo e importante, giacchè non capita più tanto spesso di vedere in un film americano (e ancor meno in quelli italiani stracolmi di architetti e vari creativi del nulla) operai e gente dalle mani callose. Curtis, sposato a Samantha (Jessica Chastain, al solito meravigliosa e ormai definitivamente la nostra attrice preferita) e amorevole, sollecito padre di Hannah, bambina ultrasveglia e ultrasensibile sordomuta dalla nascita, è uno di quegli uomini che hanno ancora il senso profondo della famiglia e della propria responsabilità. Un brav’uomo che lavora con le escavatrici (spero si dica così e mi scuso per l’eventuale imprecisione) nella terra, nel fango, sempre attento ai piani di lavoro e ai tempi, chè il capo è una belva, di quelli sempre pronti al lamento e pure alla minaccia per ogni minimo ritardo sulla tabella di marcia. Vita di non grandi soddisfazioni, però Curtis ha gli amici, ha la sua famigia-rifugio, la moglie Samantha, donna di acume e sensibilità, e Hannah. Ma Curtis è un non conciliato col mondo e la vita, è come lesionato dentro, corroso dell’inquietudine, forse per via di una storia familiare pregressa non delle più felici, e comincia a star male, sempre di più: incubi che lo devastano, lo lasciano stremato, incubi che cominciano con un violento tornado e una pioggia densa e oleosa e poi diventano deliri di persecuzioni a occhi chiusi dove tutti, a partire dal fedele cane e proseguendo con gli amici e i parenti, appaiono a Curtis nemici e minacciosi. La sua stabilità mentale si incrina, le ossessioni si fanno via via più forti e inontrollabili. Soprattutto, sviluppa come massima paranoia la paura degli uragani, teme che un giorno possa arrivare dal cielo la Grande Tempesta che gli appare in sogno a spazzare via lui, la moglie e l’adorata figlia. Così, impegnando tutti i soldi che ha, si mette a costruire ossessivamente un rifugio che possa proteggere la sua famiglia dall’apocalisse che avverte prossima ventura. Con questo sprofondare nella follia Curtis perde il lavoro, gli amici, la solidarietà della piccola comunità di cui fa parte che adesso lo vede e vive come un corpo estraneo. Solo Samantha, impavida, gli resta vicino, e questa sua stoica devozione è tra le cose più commoventi e nobili che ci sia capitato di vedere al cinema da parecchio tempo in qua (l’altra cosa commovente è come Curtis si senta responsabile della sua famiglia e profondamente padre). Il regista ci mostra implacabilmente ogni alterazione della psiche di Curtis, facendoci respirare la follia, quasi contagiandoci, pur senza ricorrere a eccessi visivi-visionari. Ma Take Shelter è un grande film per l’ambiguità rispetto al proprio protagonista. Davvero è un pazzo il povero Curtis? Non sarà invece uno sciamano, dotato del potere di prevedere gli eventi? Cos’è davvero quella paura del Grande Uragano che lo perseguita? Una proiezione dei suoi fantasmi o la profetica percezione di una catastrofe che davvero accadrà? L’ultima formidabile scena lascia aperte tutte queste domande, anzi le intensifica. No, questo Take Shelter non è il racconto e il resoconto di un caso clinico, è molto altro. Un film che reintroduce e insinua l’inconoscibile, forse il soprannaturale, forse il magico nel nostro pensiero razionale, che legge e mostra le vite (di Curtis, di Samantha, di Hannah) come misteriosamente connesse a un ciclo cosmico sovrastante, oltre-individuale. Ricorda The Tree of Life? Sì, lo ricorda eccome, ed è incredibile che due film per certi versi così simili siano usciti quasi in contemporanea. Naturalmente Take Shelter non ha la visionarietà e la potenza del capolavoro di Malick, si mostra a noi come film sobriamente realista e descrittivo, ma le affinità restano forti. Anche qui c’è la storia di ordinaria sofferenza di una famiglia della media America, anche qui c’è Jessica Chastain, che sembra replicare se stessa in The Tree of Life. Qualcuno ha visto in Take Shelter e nella crisi del suo uomo-massa, del suo protagonista blue collar, la metafora (sì, usiamola questa quasi inusabile parola) della crisi attuale che sta travolgendo in occidente la working class e la classe media. L’uragano presentito da Curtis altro non sarebbe che l’imminente muova povertà, la fine degli agi e delle certezze. Mah, concordo sul film (anche) come ritratto di una classe lavoratrice che sta smarrendo se stessa, però mi asterrei dai grandi e sempre richiosi discorsi di pretesa sociofilosofica. Mi piace di più pensare a Curtis come un profeta che ha occhi per vedere ciò che gli altri non sanno o non vogliono vedere, come a un diverso, un reietto espunto dal consesso civile e biblicamente destinato all’esilio, alla traversata del deserto. Onore a Michael Shannon, straziante nell’esprimere la sofferenza del suo uomo qualunque, con quegli occhi – spalancati sulla follia e/o su altri indicibili abissi – che non possiamo più dimenticare. Ai ruoli di alterazione mentale è ormai abituato, anzi ne è uno specialista, vedi le sue precedenti interpretazioni in Bug di Willliam Friedkin e nel sorprendente Werner Herzog americano di My Son, My Son, What Have Ye Done? (prodotto da David Lynch). C’è solo il rischio che vi rimanga intrappolato.
Magazine Cinema
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Creato il 25 marzo 2014 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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