Grande operaio. Ci può dunque essere stata grandezza nel lavoro di un operaio; mio zio ha compiuto un tempo qualcosa di memorabile, che resta dopo cinquant’anni intatto nella memoria di chi ha partecipato della sua opera. Escluso che tutto questo possa essere coniugato al tempo presente modo indicativo. Mi chiedo a chi mai oggi salterebbe in mente di dire “grande” di un operaio e del suo lavoro.
Infatti la grandezza non è una qualità richiesta. E neppure gradita. Se mai un giovane operaio si sentisse di poter fare grandi cose nel suo lavoro, il suo sentimento sarebbe fonte di sgradevoli frustrazioni, strumento di umiliazione, e in definitiva di sconfitta esistenziale. Un grande operaio rappresenta un costo troppo alto per la società che gli sta attorno. Maturerebbe sentimenti di fierezza ed orgoglio, sarebbe un uomo appagato, libero, con energie sufficienti anche per l’esercizio gratuito del pensiero e del ragionamento. Tutta roba scarsamente produttiva e fortemente destabilizzante.
Non oso immaginare il danno che subirebbe il sistema economico e politico attuale se si trovasse a fare i conti con un Paese fatto di grandi operai, grandi insegnanti, grandi imprenditori, grandi intellettuali. Dove la grandezza è quella sottintesa nel ricordo di mio padre. Cesserebbe di esistere, semplicemente. Perché è un sistema che si alimenta nella negazione di quella grandezza, e nella affermazione della mediocrità come stato propizio delle cose.
Il principio della mediocrità è così essenziale al sistema che viene imposto anche con la violenza, se necessario. Violenza sulle menti e sulle anime delle persone che potrebbero essere “grandi”...